La famiglia, la festa e il lavoro

Questi i temi dell'intervento di Luigino Bruni, docente di economia politica, all’apertura dell’Incontro mondiale della famiglia. Ce ne parla in un'intervista   
Luigino Bruni

È la famiglia il cuore pulsante del sistema economico ed è sempre lei l'aspetto sofferente con le sue maternità e paternità precarie, le sue fragilità  ed incertezze in questo duro tempo di crisi economico-finanziaria. Ma è sempre alla stessa famiglia che si chiede "inopportunamente" di consumare di più per rilanciare la crescita e di lavorare poco e male. La famiglia sembra chiamata a muovere la macchina del capitalismo dominante "senza se e senza ma". Ma è questo il modo giusto? Se lo sono chiesti  i quattromila presenti, il 30 maggio, alla prima giornata del Congresso Teologico pastorale che ha ufficialmente aperto i lavori del VII Incontro mondiale della famiglia. A rispondere il professor Luigino Bruni, docente di economia politica all'Università di Milano-Bicocca e autore de Le nuove virtù del mercato per Città Nuova che ha rilanciato queste tematiche, parlando di famiglia e lavoro sì, ma anche di festa. Perché? Glielo abbiamo chiesto in quest’intervista.
 
Impegnativi e delicati i temi di Milano (famiglia e lavoro, ndr.), tanto per le famiglie che si trovano in difficoltà economica quanto per i giovani che seppur con lavoro precario cercano di metter su famiglia. Ma la festa?
«C’è un’interconnessione profonda tra lavoro, festa e famiglia. Prima di tutto perché la famiglia è il principale luogo del lavoro e della festa: Pensiamo ad esempio nelle occasioni di festa quanto del lavoro delle donne troviamo o quanto sia sentito nel lavoro il tempo della festa, dove il primo detta i tempi del secondo.  Ma c’è anche un’altra ragione. Etimologicamente la parola festa deriva da fesia, cioè feria, feriale  e quindi legato ai giorni lavorativi. Oggi però assistiamo sempre di più ad una frattura nell’equilibrio tra lavoro e festa, ad uno stravolgimento dei ruoli. Il mondo economico soffre di eccedenza di festa da un lato e di alto tasso di disoccupazione dall’altro. Manca così una prospettiva più profonda»
 
Maternità e paternità sempre più precarie, ma anche fine del “welfare state”. Come può restare il soggetto economico principale la famiglia?
«Più che di fine dello stato sociale parlerei della sua crescita vorticosa e senza controllo in un determinato periodo storico ormai sorpassato. Direi che oggi però siamo di fronte ad una preoccupazione che riguarda più l’ambito economico che quello familiare. Lo stato sociale sta cambiando, la famiglia si sta evolvendo (non è più patriarcale come 30 anni fa), ma essa continua a svolgere il ruolo di soggetto economico preminente, il luogo ideale in cui far esperienza di gratuità. In questo senso non è allora la famiglia ma il mondo del lavoro che sta cambiando in modo più radicale perché si sta allontanando dal principio della gratuità. Occorre riscoprirlo, ma non sarei nostalgico di fronte alla fine di quel tipo di welfare state, piuttosto volgerei lo sguardo alla possibilità di creare migliori legami fra generazioni, fra lavoratori con un nuovo patto sociale»
 
 
Il mercato del lavoro chiede una diversa conciliazione famiglia-lavoro e l’adattarsi a nuove culture lavorative. Qual è l’atteggiamento giusto per accogliere le nuove sfide al meglio?
«Il mercato del lavoro nel giro di un cinquantennio è mutato molto, ma come ricorda la Rerum Novarum “Il lavoro non è una merce” ed anche oggi va salvaguardato e tutelato per la nostra società  e i nostri giovani. Certamente ci sono molte più opportunità oggi grazie ad internet e ai viaggi, ma ci sono anche diverse problematiche. Nel 1869 l’economista e filosofo J.Stuart Mill scriveva a proposito della donna: “La formazione morale dell’umanità non avrà ancora sviluppato tutto il suo potenziale, finché non saremo capaci di vivere nella famiglia con le stesse regole morali che governano la comunità politica”. Mill ovviamente faceva riferimento alla sua epoca, quando l’impresa e la famiglia erano ancora dei luoghi illiberali e gerarchici nonostante i progressi nella democrazia. Ma qual è la situazione odierna? In molti Paesi  la relazione uomo donna in famiglia è più incentrata sul rispetto e sull’uguaglianza, ma è il mondo civile, e in particolare quello economico e lavorativo ancora troppo asimmetrico, gerarchico e maschile. Non a misura di famiglia. In me però prevale la speranza. In tempo di crisi la speranza è un dovere civile, una forma di carità alta anche nell’economia»
 

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