La famiglia in primo piano
In evidenza Una vita tranquilla di Cupellini con Toni Servillo. Fa discutere The social network, sulla vita di Mark Zuckerberg, uno dei creatori di Facebook.
Anche se la partecipazione non è fluviale e le star scarseggiano, pioggia permettendo il Festival inizia a giocare le sue carte migliori (almeno in questa edizione). La famiglia e tanto di ciò che la riguarda sembra essere ancora una volta il filo rosso di una rassegna cinematografica. Tocca i generi più diversi.
Perché il ragazzino Owen stringe amicizia con la vicina Abby, scoprendola una vampira nel film di Matt Reeves Let me in, e non ha il coraggio di lasciarla? Siamo, ovviamente, dalle parti del genere Nosferatu e vampiresco, ma qui l’horror gotico non c’entra molto. Anche se la ragazza vampira uccide è però capace di tenerezza con Owen, bistrattato a scuola, impossibilitato a comunicare in casa. La madre sta divorziando dal padre e quest’ultimo è incapace di ascoltare il figlio. Di questo film asciutto, ben fatto, il momento forse migliore è il pianto disperato di Owen dopo l’inutile telefonata al padre. È la solitudine ancora una volta a far sì che i figli cerchino altrove, anche nelle creature più strane, il luogo dell’affetto.
Quando poi, in famiglia, si perde il bambino di quattro anni per un banale incidente d’auto di fronte casa, la coppia precipita nel buio assoluto. In Rabbit Hole di John Cameron Mitchell, Becca (Nicole Kidman) e Howle (Aaron Eckhart) stanno uniti da un dolore che non ha riposta… Dio, evocato dal gruppo di famiglie “di sostegno”, appare un essere privo di amore, a cui la donna si ribella. Lei si chiude alla vita, alla possibilità di un altro figlio; lui evita per poco il tradimento. L’incomunicabilità fra i due li porta al limite del fallimento del rapporto, finché, grazie al contatto col giovane che in auto ha ucciso, involontariamente, il figlio, iniziano i primi passi, in lei, di riapertura alla vita, ai contatto sociali, cui il marito corrisponde. Nessun consolatorio happy end, ma solo la vita di una coppia che inizia a superare il dolore. Ci riuscirà? La risposta resta appesa ad un filo. Film elegante, forse troppo nell’interpretazione della Kidman, più naturale invece Eckhart e più credibile nella drammaticità del ruolo paterno, finalmente capace di sfumature virili.
Ancora un volta un padre, ed è un ex malavitoso campano, Rosario Russo, che si è rifatto una vita da ristoratore stimato in Germania, con figlio piccolo e moglie tedesca. Il film, finora il migliore tra gli italiani, è Una vita tranquilla, opera seconda di Claudio Cupellini. Protagonista a tutto campo Toni Servillo, la cui maschera facciale è un intrico di emozioni, sentimenti e passioni straordinario. Quanto scarne sono le parole, altrettanto espressivi si fanno il volto, la gestualità, la “camminata” tesa e strana di un uomo che “nasconde” il passato a tutti, anche a sé stesso. Ma il passato ritorna attraverso il figlio illegittimo Diego che è venuto a cercare proprio lui, il padre che l’ha abbandonato. Solo che Diego, che porta un amico, è arrivato anche per un omicidio. L’atmosfera si avvelena e Toni, scoperto dall’amico, è costretto ad ucciderlo, non prima di essersi rivoltato anche lui contro un Dio che, nonostante il pentimento, gli “fa rivoltare addosso” il passato.
Non è questo un film di camorra, anche se personaggi e situazioni vi fanno parte, ma di rapporto padre-figlio e di domanda sulla possibilità di recuperare, con una vita diversa, gli errori compiuti o se invece ciò sia impossibile. Una domanda sul rimorso non retorica, ma morale, in un film rigoroso, sobrio, cui nuoce solo un certo patetismo nella conclusione.
A proposito di Facebook
Non si arriva a 500 milioni di amici senza farsi qualche nemico. Lo stile incisivo, graffiante e dinamico di David Fincher racconta in due ore a “The social network” la parabola di Mark Zuckerberg, uno dei creatori di Facebook. Amicizie tradite, successi, lotte in tribunale narrano di questo personaggio “anaffettivo”, ma geniale, interpretato dal giovane attore venticinquenne Jesse Eisenberg con notevole aderenza al ruolo e all’atmosfera sulfurea del racconto. Girato da Fincher con il suo sguardo tagliente sulle abitudini quotidiane degli utenti di tutto il mondo e sul cinismo di Zuckerberg, il film è un ritratto inquietante di un fenomeno che controlla ormai la vita di milioni di persone.