La doppia pazzia Orsini
Doppio festeggiamento per Umberto Orsini. Ai cinquanta anni di carriera in questo 2007 fa coincidere l’inizio del suo esordio teatrale all’Eliseo di Roma che lo vide protagonista nel Diario di Anna Frank, primo successo di una folgorante e ininterrotta carriera. Per l’occasione riprende a distanza di quindici anni Il nipote di Wittgenstein di Thomas Bernhard, una grande prova d’attore che ne mostra ancora l’indiscusso talento. Un testo intimo, quasi autobiografico, dove, attraverso la storia dell’amicizia col barone Paul Wittgenstein, nipote presunto del filosofo Ludwig, lo scrittore viennese confronta due tipologie di malattie: quella polmonare dell’autore, e quella mentale dello scomparso Paul – divenuto pazzo per l’esplosione della mente incapace di contenere la sua grande ricchezza spirituale – entrambi ricoverati in ospedale in padiglioni attigui. Nel lungo ininterrotto monologo – sorta di semiserio e a tratti commosso elogio funebre -, rievocando le conversazioni raffinate con l’amico, Bernhard in realtà parla di sé stesso. Affiorano le sue nevrosi, i rancori e le paure, il suo snobismo, il disprezzo per il mondo per le prevaricazioni sull’individuo; con sullo sfondo, sempre, il rapporto di odio-amore per il suo Paese. E Orsini è magistrale nel dosare con razionalità e sottotoni l’umorismo beffardo e nero, il tono polemico, pessimista, provocatorio, che contraddistingue la scrittura di Bernhard. Questa solitudine patologicamente vissuta del prota- gonista, è condivisa con la presenza muta e discreta di una governante. Dentro una scenografia semicircolare che allude all’agiata casa-fortezza di campagna dove lo scrittore trascorreva molto del suo tempo, la bravissima Elisabetta Piccolomini s’inserisce nel flusso verbale del protagonista compiendo gesti quotidiani e maniacali: lo serve, lo veste, ubbidisce agli ordini dei suoi sguardi, o rimprovera le sue imprudenze con un colpo di tosse. Nel racconto, che fluisce come una partitura musicale con temi e frasi continuamente ripresi, i brani musicali – Rameau e Schubert – hanno un rilievo determinante per la storia dei due amici, il cui rapporto fu cementato dalla passione per la musica. Pure la recitazione di Orsini rimanda ai tempi musicali inframezzando pianissimi ad accelerazioni, toni squillanti ad altri impetuosi, e ad un momento in cui, quasi un contrappunto, adegua la cadenza del suo eloquio a quella della musica. Manca, forse, un tocco più acceso di follia dalla quale, nella scrittura di Bernhard, non si può prescindere. In questa toccante comunione di spirito tra due esseri, sono le interrogazioni sul senso della vita e i sentimenti, in ultimo, ad emergere, grazie al regista Patrick Guinand che, trasportando dalle pagine del libro al palcoscenico il romanzo, lo dirige con sapiente equilibrio e sensibilità. Da non mancare. Giuseppe Distefano Al Piccolo Eliseo di Roma fino al 20 maggio.