La donna nell’arte del Cinquecento
Sarà un evento. Perché la pittura veneta del Cinquecento domina l’Italia e l’Europa con la figura della donna. Si potrebbe dire, senza forzare troppo, che sotto un certo aspetto, tutto il Rinascimento è donna.
È certo una nuova visione della femminilità che contempla le figure bibliche di Eva e di Maria, tant’è vero che la rassegna apre con il Peccato originale del Tintoretto dalle Gallerie veneziane del 1550 circa, misterioso incontro fra i lampi e la Madonna col bambino di Tiziano, così affettuosa.
Poi, la donna viene vista ancora come eroina biblica o della storia romana. È la Maddalena in lacrime al tramonto (nel giorno della conversione) di Tiziano, del 1565 circa; la virtuosa Lucrezia del Veronese (1580 circa), la “casta”Susanna (Tintoretto, 1555 circa) luminosa figura nel giardino insidiata dai due vecchioni.
Sono opere in cui lo splendore del colore, il brillio della luce danno vita a figure femminili come icone di una bellezza florida, immortale e fascinosa. Vincitrice della morte o dell’assalto nemico (maschile) come nella drammaticissima tela di Lucrezia e Tarquinio di Tiziano che arriva come altre opere dal Kunsthistorisches Museum di Vienna: un capolavoro impressionante di tinte sanguigne.
Il rosso fiamma che è il colore tipico del Vecellio nella tela del pittore anziano (siamo nel 1570, sei anni prima della morte) si anima di pennellate focose, di ”ditate” materiche date con una energia terribile, a descrivere l’impeto del tentato stupro così presente allora come ora. Tiziano rappresenta il farsi dell’assalto con una forza indomabile, tanto che la tela grida due soli colori variati e spugnosi: i l rosso di lui e della tenda e il bianco verginale di lei.
La donna è anche soggetto frequente nelle scene mitologiche, così in uso all’epoca come richiami amorosi. Perciò le Veneri o le Danae vengono ritratte come personaggi contemporanei, figure bionde in genere, secondo una moda veneziana diffusa ovunque, piene di gioia di vivere, di freschezza e di salute, icone dell’ideale di una giovinezza senza tempo, come accade oggi.
Sono pure figure misteriose. Il ritratto di giovane donna detto Laura perchè porta un ramo d’alloro è la donna che Giorgione ritrasse nella Tempesta, è una sua modella, è una poetessa, una cortigiana? Mistero. Di certo la tela che viene da Vienna dove è arrivata chissà come da Venezia, possiede una certezza: è la sola datata da Giorgione sul retro, “primo giugno 1506”.,
La tela ad olio, è la capostipite di una galleria infinita di ritratti a mezza figura femminili di donne bellissime, accoglienti – lontane e vicine – prodotte in serie da maestri grandi e meno grandi: ci osservano ,ci parlano e quasi non vorrebbero fuggire. Ma di loro stesse tacciono. Chi è infatti la donna in abito blu dipinta dal bergamasco Palma il vecchio? Una sposa?. Chissà.
Poi ci sono le grandi signore. Qui spicca il ritratto di Eleonora Gonzaga Della Rovere del 1535, di Tiziano, dagli Uffizi. La duchessa di Urbino veste all’ultima moda, si affaccia col cagnolino in grembo su una veduta paesaggistica, non ci guarda. Ha il distacco di un ritratto ufficiale. Sarà stata certo soddisfatta di Tiziano (nonostante il prezzo salatissimo richiesto): lui sapeva essere reale senza diventare realista, dipingeva i grandi come avrebbero voluto essere visti per l’eternità, persone sicure di sè, superiori.
Come la Giuditta con la testa di Oloferne del Lotto, energica e virtuosa, donna prosperosa che sicura di sé ci mette davanti il capo mozzato del cattivissimo, sedotto e abbandonato. È la vittoria dell’eterno femminino sul mondo e la storia, come suggerisce questa rassegna imperdibile. Un viaggio tra capolavori di tanti altri maestri come Previtali, Cariani, Moretto, nella ricerca dell’ideale di donna da mostrare ai secoli, protagonista nello sfarzo del colore e della luce.
Tiziano e l’immagine della donna. Milano, Palazzo Reale, dal 23.2 al 5.6 (Catalogo Skira)