La domenica del calcio
La storica Ds, andrebbe chiamata più correttamente domenica calcistica. Anche nell’anno dei successi televisivi delle Olimpiadi, il contenitore sportivo più importante del piccolo schermo non ha cambiato il suo atteggiamento verso le discipline che non contemplino undici giocatori intenti a calciare un pallone di cuoio e a simulare cadute in area di rigore. Per di più, sollecitata dai dati d’ascolto e dallo stile imposto dalla concorrente Controcampo, la Ds ha cominciato ad interessarsi in maniera quasi esclusiva di alcune protagoniste della domenica negli stadi: la Juventus, il Milan, l’Inter. Su Italia Uno con Sandro Piccininni. Si parla solo del tripartito, dei tre giganti del Nord, della Roma solo se c’è qualche caso che crea polemiche. E sul resto cala la nebbia, come talvolta, ai bei tempi a San Siro. Marco Mazzocchi su Raidue prova a spaziare un po’ di più in nome del pluralismo imposto dal servizio pubblico. Ma alla fine anche lui è costretto a chiudere il recinto. Via le mezze tacche e i club da due soldi, spazio al centro dell’arena alla zebra bianconera, al diavolo rossonero, e al biscione nerazzurro. Chi non conta non ha diritto di tribuna, chi non vince guarda gli altri in tv: si parla di sport, ma non è propriamente un principio decoubertiano. Per di più l’overdose di immagini e le dirette tv delle partite sui canali a pagamento ha costretto i due programmi a rivedere la formula. Quella vincente l’ha imposta però Italia uno costringendo la Rai ad una rincorsa frettolosa su uno stile che peraltro poco ha a che fare con la sua missione. Prodotto da ottimi professionisti, mettendo a frutto l’eredità di Biscardi e del suo processo, Controcampo ha fatto della parzialità il suo imperativo: al posto di cronisti neutrali sono arrivati gli opinionisti tifosi che tutte le settimane vengono convocati, come una compagnia di giro, per interpretare il loro ruolo. C’è l’intellettuale juventino e il comico milanista, la velina nerazzurra e il direttore romanista. Alla Domenica sportiva si sono adeguati in fretta. Anche in Rai la parola ha finito per farla da padrone, il gesto tecnico è stato surclassato dall’acrobazia verbale, il valore sportivo scalzato dalla polemica a gettone. Il tutto frullato dentro il rito laico della moviola, il più potente veleno che sia stato iniettato nel già malato pallone italiano, il giudice ultimo che dovrebbe svelare in maniera definitiva la cattiva coscienza degli arbitri. Tutto poi è segnato da una forte personalizzazione degli scontri. L’uso delle copertine e dei titoli sullo sfondo costringono alla sintesi che finisce per presentare ogni argomento secondo la modalità del muro contro muro: l’allenatore contro i suoi tifosi, il giocatore opposto al suo presidente. Alla fine i due programmi si assomigliano a tal punto che facendo zapping si rischia di confondere l’uno con l’altro. È quello che fanno tutti i tifosi: si cambia di continuo canale, in un ping pong selvaggio che restituisce un indigesto frullato di frasi e immagini. Mezza parola di qua, un po’ di moviola di là, resto sintonizzato sul si urla di più. I nostalgici hanno già fatto partire le loro giaculatorie: Gianni Brera, Beppe Viola dove siete?