La dolce Vitti, di nome Monica
Il primo ambiente che, attraversando dei grandi “veli” fotografici, accoglie il visitatore della mostra La dolce Vitti, è con quella voce inconfondibile, roca e sgranata. E dire che al primo esame per entrare all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico non fu ammessa proprio per questa sua caratteristica ritenuta un problema. Entrò l’anno successivo. I due documenti con le domande di ammissione, e la relazione del medico dell’Accademia che evidenzia la «voce lievemente granulosa», quale «difetto rilevabili nella formazione», si possono leggere esposte nella mostra fotografica e multimediale in quattro tappe che l’Istituto Luce Cinecittà dedica alla grande attrice. Curata di Nevio De Pascalis, Marco Dionisi e Stefano Stefanutto Rosa, racconta le diverse forme in cui l’abbiamo conosciuta in 40 anni di spettacolo. A cominciare dal teatro.
Già a 14 anni aveva compreso che recitare le avrebbe salvato la vita. Le prime immagini sono quelle degli anni dell’apprendistato alla Silvio d’Amico nell’anno accademico 1950-’51. Una ragazza che spicca per altezza, slancio, e una sincera propensione al dramma e ai tragici. E che l’attore Sergio Tofano, suo maestro, riconosce con due indicazioni contrarie: le dice che è un vero talento comico, e di cambiare nome. Monica Vitti inizia col doppiaggio, nel 1957. Nel percorso della mostra c’è una postazione di video-ascolto in cui la sua voce risuona a doppiare il personaggio interpretato da Dorian Gray ne Il grido di Michelangelo Antonioni. Ed è in quell’occasione che i due s’incontrano, momento che segna la nascita di un sodalizio, sentimentale e artistico, fondamentale per lei e la sua carriera, e capitale per la storia del cinema in un arco fulminante dal 1960 al ’64 con i film L’avventura, La notte, L’eclisse, Il deserto rosso. L’incomunicabilità, l’alienazione, la crisi dei sentimenti: il moderno nel cinema mondiale è racchiuso in questi film amati, contestati, imitati.
Ma Monica non è stata solo la musa del regista ferrarese. Lei ha unito le due anime divise del nostro cinema: quella d’autore, il cinema d’impegno e linguaggio, e la commedia all’italiana. Due anime troppo spesso scisse, conflittuali, che in lei vivono con naturalezza, in un unico corpo attraverso decine d’incarnazioni diverse: personaggi, trasformazioni, svolte di carriera, teatro, cinema, televisione, copioni, canzoni. E anche pubblici diversi, per cui è presenza di volta in volta raffinata e popolarissima.
La commedia consegna Monica alla popolarità e all’amore del grande pubblico nel 1968 nel ruolo di Assunta, un’umile figlia di Sicilia sedotta, abbandonata e trasmigrata nella ‘swingin’ London’, ne La ragazza con la pistola. È un’epifania, la nascita di una nuova stella, diversa e brillante. Diventerà la regina di un genere dominato storicamente dagli uomini, e recitare a fianco di Gassman, Tognazzi, Manfredi, Mastroianni, in film memorabili di Monicelli, Scola, Risi, Loy, Salce, Fondato, Di Palma. E naturalmente a fianco di Alberto Sordi, re della commedia che l’ha eletta a sua compagna ideale di film, di gioco, in titoli proverbiali come Polvere di stelle, Amore mio aiutami, Io so che tu sai che io so…
La tappa conclusiva della mostra racconta la nuova trasformazione della Vitti, in cacciatrice di progetti, copioni, co-sceneggiatrice, autrice, infine regista. Sono film preziosi come l’amato Teresa la ladra, da un romanzo di Dacia Maraini, per la regia di Carlo Di Palma, o i teneri Flirt e Francesca è mia, diretti dal compagno, fotografo e regista, Roberto Russo. E quello Scandalo segreto che nell’89 la vede al debutto dietro la macchina da presa.
“La dolce Vitti”, a Roma, al Teatro dei Dioscuri al Quirinale, fino al 10/6.