La discussione sui caccia F35 tra guerra e pace
Renato Sacco, coordinatore italiano del movimento cattolico internazionale Pax Christi, è parroco a Cesara, un piccolo paese della diocesi di Novara. Da questa postazione periferica ha girato, per anni, l’Italia, cominciando gli incontri pubblici con un proiettile o un pezzo di arma in mano, prodotti nel Bel Paese e ritrovato sui tanti luoghi di guerra dove si è recato. Don Sacco mantiene un rapporto ininterrotto, prima e dopo le varie operazioni degli eserciti, con esponenti della società irachena, che sono di casa a Cesara, e può testimoniare i disastri prevedibili di una guerra di cui la società occidentale, e italiana in particolare, ignora in gran parte i disastri. Basterebbe chiedere quanti sono a conoscenza dell’uso delle bombe al fosforo sulla città di Falluja.
Alla vigilia del dibattito parlamentare sulla mozione contraria all’operazione di acquisto dei caccia bombardieri F35, Pax Christi, a cominciare dal suo presidente italiano, il vescovo di Pavia, Giovanni Giudici, non può quindi che rilanciare l’appello di sostegno alla mozione invitando «a fare pressione sui deputati chiamati a votare nei prossimi giorni». Don Renato sostiene che «è folle pensare di spendere 130 milioni per ognuno di questi aerei: in tutto 14 miliardi di euro, più 50 miliardi per l’intera vita del programma» e cita un documento storico della Santa Sede del 1976 dove si afferma che «gli armamenti, anche se non messi in opera, con il loro alto costo uccidono i poveri, facendoli morire di fame». Ci dice: «Nella Chiesa c’è la tentazione di essere molto prudenti e poco evangelici, eppure papa Francesco, al momento dell’elezione, ha pensato alle troppe guerre del mondo. Non possiamo dire: Bergoglio faccia il papa ma noi dobbiamo essere realistici».
In questo tornante della storia, la sua parrocchia si trova vicino all’aeroporto di Cameri destinato a ospitare il centro di produzione degli F35 utilizzati o dislocati in Europa e nel Mediterraneo. I rapporti con i vertici delle Forze Armate sono “democraticamente buoni”. Il problema non sono i generali, ci dice. «Loro sono coerenti perché dicono di applicare la volontà del governo e del Parlamento, ma forti interessi determinano le scelte politiche anche perché gran parte degli stessi parlamentari, purtroppo, non è forse a conoscenza dell’importanza del voto che sono chiamati ad esprimere».
Che tipo di reazione c’è stata nel territorio davanti al progetto di Cameri?
«Non solo io, ma con la commissione “Giustizia e pace” della diocesi di Novara abbiamo espresso il nostro dissenso sul progetto fin dall’estate del 2006. Abbiamo suscitato riflessioni di approfondimento e organizzato marce per la pace, anche se il sentire comune della popolazione, assieme, purtroppo, ai sindacati, industriali, massa media e politici di entrambi gli schieramenti erano nel senso di non sprecare l’occasione dello sviluppo di posti di lavoro in un tempo di crisi, anche in considerazione del fatto che comunque, al nostro posto, qualcun altro avrebbe comunque costruiti questi aerei di alta tecnologia. Si trattava di non perdere l’occasione del treno che passava».
Come avete risposto?
«Che non si tratta di un treno ma di un aereo da guerra che va conosciuto in tutti i suoi aspetti. Lavoro di analisi e documentazione che la campagna “Taglia le ali alle armi" ha poi svolto dimostrando che non esiste per nulla la penale minacciata da diversi fonti istituzionali in caso di sospensione del programma e che i risvolti occupazionali non sono affatto garantiti. L’industria militare, a parità di investimento, garantisce maggiori fatturati ma minori posti di lavoro del civile. Oggi siamo arrivati a un secondo dibattito parlamentare dopo la mozione Pezzotta del 2012 che ha evitato la chiusura al dibattito democratico di una questione così decisiva. Oggi rinnoviamo il nostro appello all’adesione di altri deputati, cristiani o diversamente credenti, invitati a dare ascolto alla voce della coscienza. L’affermazione di papa Giovanni XXIII che, cinquanta anni fa nella “Pacem in terris”, definiva la follia della guerra (“alienum est a ratione”) esprime una ragionevolezza comune che dovrebbe scuotere in modo particolare chi afferma la priorità del diritto alla vita».
Avete visto reali cambiamenti nei politici che sappiamo in gran parte schierati, trasversalmente, a favore del programma di acquisto dei caccia?
«Ho visto aprirsi delle fessure nel fronte granitico schierato “senza se e senza ma” a favore dei caccia. Gli F35 sono un idolo che va abbattuto e bisogna lavorare sulle fessure che si stanno aprendo. Si può riconoscere anche la positività di chi dice di sospendere piuttosto che cancellare la procedura d’acquisto degli F35 perché permetterebbe di aprire spazi di reale discussione a partire dall’applicazione dell’articolo 11 della Costituzione. Vedere apertamente le ragioni pro e contro. Un appello per dire “fermiamoci e parliamone seriamente”, poiché esistono ragionevoli obiezioni sulla reale necessità di tali strumenti di guerra per la difesa che finiscono, invece, per smuovere una valanga di soldi intercettati, come sempre, dagli appalti delle grandi società».
Ma Aeronautica e Marina militare devono comunque dismettere gli aerei in dotazione e gli F35 rappresentano quanto di meglio esiste per operazioni militari che concepiscono la prima linea lontano dai confini nazionali…
«Esistono dubbi e alternative meno costose a quel tipo di spesa, ma è forte una lobby degli armamenti che giunge a compromettere la stessa interpretazione della Costituzione. Quel “nuovo modello di difesa” che si è voluto adottare non difende la democrazia, come più volte dichiarato, ma “gli interessi ovunque minacciati”. Basta prendere in considerazione il caso dell’Iraq voluto dagli Usa o quello più recente in Libia, sostenuto dalla Francia, in cui i nostri aerei hanno compiuto veri e propri bombardamenti. È stata difesa della democrazia? E armare oggi l’opposizione siriana come molti spingono a fare è una scelta che rafforza la democrazia o risponde ad interessi di altro genere? ».
Come andrà a finire con questa votazione?
«Con gli F35 non andiamo incontro al futuro, anzi andiamo verso la distruzione, perché sono predisposti pert rasportare anche ordigni nucleari. Non è argomento su cui si può fare un referendum, ma sono fiducioso nel movimento di opinione e di pressione di tanta gente e della coscienza di ognuno. Non ho perso la speranza in mondo nuovo, diverso, anche perché è l'unico realmente possibile. Se vogliamo la pace, dobbiamo lavorare instancabilmente per la pace, senza perdere la speranza».