La diplomazia saudita di Adel Al Jubeir

Personaggio in ascesa sui media internazionali, il ministro degli Esteri di Riad non lesina accuse verso Teheran e ama spacciare per veri assiomi infondati.

Si sono da poco conclusi a Roma i Med Dialogues 2017, i dialoghi mediterranei promossi dal ministero degli Esteri italiano e dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), giunti alla terza edizione. Il presidente Mattarella, che ha aperto i lavori, è arrivato all’inaugurazione in compagnia del presidente della repubblica libanese, Michel Aoun. Probabilmente un segno di solidarietà verso il Libano, dopo i recenti fatti legati alle dimissioni, poi rientrate, del premier Hariri.

Numerosi e molto qualificati gli ospiti e relatori, circa 800, provenienti da 56 Paesi. I temi andavano dai nuovi equilibri internazionali alle strategie per la sicurezza, dalla lotta al terrorismo alla gestione dei flussi migratori, oltre alle questioni riguardanti l’energia e il commercio nell’area mediterranea. In tre giorni si sono alternati numerosi protagonisti della scena politica ed economica mediterranea, tra i quali anche i ministri degli Esteri di vari Paesi mediterranei e mediorientali, oltre a Niger, India e Russia.

C’era anche il ministro degli Esteri saudita, Adel al-Jubeir, 56 anni, che, com’è nel suo stile, ha lanciato pesanti accuse contro l’Iran e gli sciiti in genere: «La Siria può arrivare a una soluzione giusta sulla base della risoluzione 2254 dell’Onu e alle decisioni prese a Ginevra, per arrivare a giuste elezioni. Ma c’è un ruolo negativo dell’Iran, che dal 1979 crede nell’esportazione della rivoluzione».

Poi ha aggiunto, rincarando la dose: «Noi cerchiamo di bloccare questa influenza negativa, come in Yemen e in Libano, che viola il diritto internazionale e le regole di buon vicinato. Dal 1979 Teheran è sponsor del terrorismo in tutta la regione, per questo ci sono delle sanzioni. L’Iran deve pagare per questa politica aggressiva che vuole arrivare fino al Mediterraneo, come dimostra il loro sostegno a Hezbollah in Libano».

Erdogan
Erdogan

Ha posto infine anche una domanda retorica: «Chi è amico dell’Iran a parte Assad e la Corea del Nord?».

Per rispondere in qualche modo alla sua domanda retorica, si potrebbe per esempio dire che la Russia di Putin e gli Hezbollah di Nasrallah sono di un certo peso come alleati, fra l’altro vincenti, dell’Iran. Senza considerare inoltre il presidente turco Erdogan, perché ci sta pure lui fra gli amici di Teheran, anche se con notevoli distinguo. Che poi Kim Jong-un, il dittatore della Corea del Nord, possa avere simpatie di qualche genere per gli ayatollah iraniani o per chicchessia è tutto da dimostrare. Per Assad il discorso è semplice: senza l’appoggio iraniano e russo sarebbe probabilmente già stato eliminato da tempo.

Le affermazioni e i ragionamenti di al-Jubair finiscono irrimediabilmente in un sofisma: presuppongono implicitamente dimostrata la stessa tesi che intendono di dimostrare. In latino questo tipo di argomentazione si chiama petitio principii. E l’altro suo grande presupposto assoluto è: noi siamo i buoni e loro (l’Iran e gli sciiti) i cattivi. Poste queste premesse, pare decisamente impossibile far spazio alla diplomazia. Resta quindi, sembra dire il ministro saudita ma qualche volta l’ha anche detto, una sola possibilità: la guerra. Meglio se indiretta, fra l’altro.

In un’intervista dello scorso anno concessa al periodico tedesco Der Spiegel, al-Jubeir è stato provocato riguardo alla politica interna saudita nei confronti degli sciiti e dei dissidenti. Le sue risposte sono state reticenti, anche se riguardavano sentenze capitali e altre pene che ledevano i diritti fondamentali della persona. Adel al-Jubeir si è appellato, infatti, alla legge e alle giuste sentenze della magistratura che avrebbero legalmente condannato dei ribelli assassini. Ma bisogna sapere che in Arabia, monarchia assoluta senza costituzione né parlamento, la magistratura non è autonoma e dipende in tutto dal potere esecutivo e religioso.

Istruttivo è l’esempio di Raif Badawi, condannato a mille frustate di fronte alla moschea di Gedda. Siccome a mille frustate nessuno può sopravvivere, hanno deciso di dargliene 50 alla volta al mese. Di cosa è accusato Raif Badawi? Di aver tenuto un blog clandestino sulla situazione degli sciiti in Arabia (circa 3 milioni di persone), di avere twittato notizie sulla repressione, di essere lui stesso sciita e di essere il nipote dello sceicco Nimr Baqr al-Nimr, arrestato durante la Primavera araba del 2011-2012, accusato di aver tenuto un discorso in cui incitava a «dichiarare guerra a Dio» e per questo giustiziato nel 2016 insieme ad altre 46 persone, tutte rigorosamente sciite.

Certamente l’Iran ha i suoi numerosi, grossi e ingombranti scheletri sia chiusi nell’armadio che in bella evidenza, ma sembra che stia provando a cercare nuove strade. A dire il vero, anche l’Arabia Saudita, col suo nuovo uomo forte ed erede al trono, Muhammad bin Salman, figlio del re attuale, sta tentando vie nuove: ha ricevuto per la prima volta un esponente di spicco cristiano, il cardinale libanese maronita Rai, alle donne concede di guidare ed andare allo stadio, pare che siano in arrivo delle misure sulle libertà economiche d’impresa, come già avviene negli Emirati, in Qatar, Bahrein, Oman e Kuwait

Ma le dichiarazioni di al-Jubeir – affermazioni sicure che tali non sono, mezze verità spacciate per intere, manipolazioni sostenute con tenace decisione – non sembrano andare nella direzione della novità. Tanto più che il petrolio durerà ancora qualche anno e poi finirà. E ancor prima le energie verdi eroderanno poco alla volta il suo prezzo. E dopo? Cosa resterà dell’Arabia, non di quella saudita, ma dell’altra, quella vera?

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