La diplomazia del ping pong
A Doha un particolare torneo di tennis tavolo, per facilitare il dialogo tra nazioni tradizionalmente ostili
La storia, purtroppo, ci insegna che possono essere molti i motivi causa di un contrasto o addirittura di un conflitto tra nazioni diverse: ideologie politiche, territori contesi, intolleranza religiosa. C’è però una cosa che, se “sfruttata bene”, può certamente avvicinare le persone, svolgere un ruolo di mediatore importante sulla scena politica internazionale e trascendere qualsiasi confine inventato dall’uomo: lo sport.
Molti ricordano ad esempio quanto avvenne nell’aprile del 1971, quando una delegazione di atleti statunitensi di tennis tavolo fu invitata a giocare un torneo amichevole a Pechino, prima rappresentativa sportiva americana a poter mettere piede nella capitale cinese dopo oltre venti anni. Solo un anno dopo, anche grazie alle relazioni diplomatiche intessute durante quell’incontro, avvenne una visita del presidente americano Nixon nel Paese asiatico passata alla storia.
Oggi, quarant’anni dopo, il tennis tavolo vuole tornare ad essere strumento attivo per promuovere la pace nel mondo e l’amicizia tra Paesi diversi. Così i vertici internazionali di questa disciplina hanno fortemente voluto una manifestazione che è stata disputata proprio in questi giorni a Doha, nel Qatar. Si tratta della 2011 Pace and Sport Cup, un torneo “particolare” che nell’intenzione degli organizzatori vorrebbe diventare un appuntamento fisso.
Per questa edizione sono state dieci le nazioni partecipanti, abbinate in gara in due prove (doppio maschile e doppio femminile) in base ad un criterio davvero insolito: ovvero a seconda di un passato, più o meno recente, condito da reciproche rivalità. La Russia con gli Stati Uniti, l’India con il Pakistan, la Corea del Sud con quella del Nord … Così giocatori provenienti da nazioni “tradizionalmente ostili” hanno passato insieme alcuni giorni parlando, conoscendosi, scambiandosi esperienze, facendo amicizia ed alla fine … giocando insieme.
Le gare sono state disputate davanti ad un pubblico composto da appassionati di sport, da curiosi e soprattutto dai diplomatici e dai rappresentanti governativi invitati a Doha. Questi ultimi hanno assistito al torneo, intrecciato relazioni volte a favorire il dialogo e la riconciliazione politica al più alto livello, ed alla fine sono stati “costretti” a fare il tifo sia per i propri rappresentanti che per quelli della nazione a loro abbinata.
Per la cronaca, in campo maschile ha vinto il doppio composto dal sudcoreano Ryu Seung Min e dal nordcoreano Kim Hyok Bong, che in finale hanno battuto la “strana coppia” russo-statunitense, mentre in campo femminile i ruoli si sono invertiti e a prevalere sono state l’americana di chiare origini asiatiche Lily Zhang e la russa Anna Tikhomirova, che hanno superato il doppio formato dalle rappresentanti delle due coree.
«Sono molto felice di aver vinto questo torneo con il mio compagno della Corea del Nord», ha affermato Ryu Seung Min, numero 15 del mondo, che ha anche aggiunto: «Spero che in futuro ci saranno altre possibilità di giocare e vincere insieme». Le due Coree insieme, almeno nel ping pong: così come avvenne durante i mondiali del 1991, quando una Corea unificata vinse poi il titolo a squadre femminile. «Furono giornate incredibili. Partita dopo partita avvertimmo crescere il sostegno delle persone di entrambi i Paesi che ci seguivano e ci incoraggiavano, ed alla fine ci sentimmo davvero una cosa sola», ha ricordato con emozione Hyung Jung Hwa, l’allenatore di turno dei due doppi coreani in gara a Doha.
Un torneo di buon livello, con la presenza di atleti importanti nel panorama mondiale di questa disciplina, che a prescindere dai vincitori sarà però ricordato soprattutto come una nuova “piccola” testimonianza di come lo sport sappia unire le persone, anche quelle apparentemente più diverse. Certo, una “piccola” testimonianza, ma d’altro canto anche una grande pianta nasce da un piccolo seme. «Un’esperienza di vita che non dimenticherò mai», ha commentato la giocatrice indiana Poulomi Ghatak. «È una questione di pace e di amore: se tutte le nazioni del mondo puntassero di più al dialogo ed alla cooperazione potremo davvero vivere in un mondo migliore».