La dipendenza da Internet
È singolare parlare della velocità mentre si è in corsa, descrivere la sensazione delle montagne russe nel bel mezzo del saliscendi mozzafiato. Parliamo di “rivoluzione digitale”, di “nuove dipendenze” e di “mutazione antropologica” e queste sono in pieno divenire; in altre parole: nella storia dell’umanità si sta scrivendo un capitolo senza precedenti che segna un passaggio determinante tra un prima e un dopo, noi ne siamo protagonisti e qui, ecco una delle singolarità di questo tema, anche narratori. Siamo biografi di noi stessi. […]
Siamo agli inizi degli anni ’90, e l’interconnessione delle reti, la più vasta Rete esistente al mondo, Internet, con le molte locuzioni che ormai la identificano, si apre alla portata di tutti attraverso una serie di servizi che consentono la comunicazione fra utenti in tempo reale o in differita, a due o molteplici interlocutori, la consultazione di informazioni, il gioco e tanto altro ancora. Nell’arco di pochissimo tempo la dea tecnologia rende possibili situazioni prima impensabili, spezza barriere e disegna scenari sconfinati di cui non si scorge la linea d’orizzonte. […]
Nel 1995 Internet è ancora una giovane creatura, eppure già inizia a far parlare di sé in termini problematici, in quanto fonte di possibile dipendenza e in Rete – con la firma di Ivan Goldberg, psichiatra americano – appaiono i primi criteri diagnostici che, in forma provocatoria ma insieme lungimirante, permetterebbero di individuare un’intossicazione da Internet, l’Internet addiction disorder (IAD). […]
È del ’96 il primo riconoscimento ufficiale della sindrome dell’Internet addiction; nei soggetti interessati dalla IAD erano presenti tolleranza, astinenza e craving (bisogno crescente), in altre parole una dipendenza con tutti i crismi. Goldberg dunque, che rimane l’icona più o meno leggendaria del pioniere in questo campo, aveva centrato, senza volersi spingere oltre la provocazione diagnostica, un tema tutt’altro che innocente, che negli anni immediatamente a seguire avrebbe conquistato l’attenzione del mondo scientifico internazionale. Nel 1997 già diversi studiosi propongono definizioni e criteri sull’uso normale ed eccessivo di Internet; uno fra molti, Viktor Brenner, in «Psychological Reports», parla di «psicologia dell’uso del computer» e, nel constatare la scarsità di studi e di ricerca su questo argomento, riporta i risultati emersi dopo i primi 90 giorni di indagine sull’uso, abuso di Internet e il suo potenziale per lo sviluppo di una dipendenza (Internet Usage Survey, un questionario di autovalutazione online). […]
Uno scenario ben diverso rispetto a quello estero si presenta invece, in quegli stessi anni, in Italia: lì fragore, qui silenzio. La connessione in Rete, prima del terzo millennio, è ancora privilegio di pochi e nessuno si è seriamente cimentato a entrare nel ginepraio del fenomeno. Il 1998 però registra una svolta davvero significativa e sia la comunità scientifica che il pubblico in Rete sapranno cogliere, pur nei diversi schieramenti che da quel momento si attivano, il potenziale dirompente che si stava portando alla luce. […]
Quello di Cantelmi è il primo pronunciamento ufficiale in Italia, dunque ancora pioneristico, tuttavia il boom mediatico è sorprendente e oltre qualunque previsione. […]
Ma procediamo per gradi, considerando in quale ambiente culturale e sociale il rapidissimo evolversi della tecnologia digitale incontri oggi l’umanità, appena reduce da un imponente passaggio dall’era moderna e solida a quella “liquida”, secondo la ben nota ed efficacissima espressione del sociologo Zygmunt Bauman. Se si cerca di contenerla sfugge dalle mani, se si cerca di fermarla scorre, se si cerca di descriverla è cangiante come l’acqua sotto il riflesso del sole. È la società post-moderna. Le certezze incontrovertibili, i valori stabili, e le norme sociali sicure come pilastri sono cose del passato, improponibili in quanto espressione di un “pensiero forte” ormai ampiamente superato. Ora la verità è sbriciolata in innumerevoli frammenti, tutto deve essere flessibile e adattabile ai bisogni di ciascuno, uno nessuno centomila può considerarsi l’icona di quest’epoca. L’identità individuale è mutevole, le relazioni sono mutevoli, un punto di riferimento per orientare le scelte non c’è più, a meno che non si considerino tali – cioè criterio normativo – le esigenze e i desideri personali, unica bussola «nella babelica pluralità di linguaggi che si intrecciano, come le strade di un labirinto senza più centro né periferie». […]
Se questa, osserva lo psichiatra, è la società liquida, il Terzo millennio sarà ineludibilmente caratterizzato proprio dall’impatto della liquidità con la tecnologia digitale: è la società tecnoliquida nella quale è immerso l’uomo che è già oltre il post-moderno. […]
Chiara D’Urbano: In Italia oggi è riconosciuto in modo indiscusso il suo contributo di ricerca nel campo della tecnologia digitale in rapporto all’uomo. È stato avventuroso il suo debutto, come anche i passi seguenti, i suoi studi sono andati avanti e anzi negli anni i paradigmi da lei messi a fuoco sono mutati.
Tonino Cantelmi: Sono mutati perché mi sono reso conto, man mano che ho avuto modo di osservare e studiare l’impatto della Rete sulle persone, a partire dai bambini, che la navigazione è ben più che una semplice fonte di dipendenza. Il digitale ha stravolto i tradizionali parametri di pubblico e privato, vicinanza e distanza, delle vecchie generazioni; oggi si possono instaurare relazioni intime, dove l’intimo può non contemplare alcun contatto corporeo, ma solo virtuale; si è “con” l’altro senza muoversi di un centimetro dal proprio spazio privato, sia fisico che psicologico. Si può essere molto soli nella vita urbana reale, ma iperesposti socialmente in quella virtuale. Stanno cambiando i parametri essenziali nella costruzione e nel funzionamento della personalità nel rapporto con se stessa e con gli altri. Non è più significativo ed esaustivo il paradigma della dipendenza da Rete quando il rischio è piuttosto quello di una coincidenza tra real life e virtual life.
Chiara D’Urbano: Lei ha parlato di “immigrati digitali”, che saremmo noi adulti che abbiamo appreso a usare la tecnologia ma non siamo nati sotto il suo regno. Intende questo per “mutazione antropologica”?
Tonino Cantelmi: Intendo dire che i bambini nati nell’era digitale non conoscono i nostri percorsi di ragionamento e accumulazione dati, possono fare fatica ad acquisire alcune competenze scolastiche di base, ma sono rapidissimi e “geniali” nell’apprendere a utilizzare uno strumento come l’iPhone. Questi cosiddetti “nativi digitali”, nati dopo gli anni ’90 sono meno attenti, meno capaci di memorizzare, ma capaci di performance percettivo-comunicative impensabili per noi “immigrati”. Si va sviluppando – e non solo i nostri studi lo confermano – un nuovo modello di mente più funzionale al contesto tecnoliquido attuale. Siamo davvero in una nuova fase dell’umanità e l’homo tecno-digitalicus ne è l’espressione fenomenologica.
Chiara D’Urbano: Paolo e Francesca travolti da passione amorosa durante la lettura di un libro diventano quindi memoria remotissima e tra poco, di questo passo, apparterranno alla fantascienza più che alla letteratura storica. Crediamo di esprimere una paura comune chiedendole: è segno di progresso questo cambiamento in atto o di un inizio di collasso di un’umanità sempre meno capace di darsi tempo, di dare tempo all’altro, di ascoltare, attendere, corteggiare, scommettere nelle relazioni non mediate da uno schermo, di vivere le emozioni e non solo tradurle in emoticon?
Tonino Cantelmi: La paura non è infondata. Questo non vuol dire dare la caccia alle streghe e mettere al rogo l’evoluzione in corso. Il pubblico di allora temette che io stessi iniziando una battaglia contro la scienza e il progresso, che io fossi un reazionario; no, tutt’altro! Ben venga la scienza che evolve. Tuttavia, le nostre vite, le vite dei nostri figli e di quelli che ci circondano, nonché delle persone che seguo come medico psichiatra, dicono che occorre vigilare, è facile farsi prendere la mano da questo mondo parallelo che è la Rete, a rischio di abbandonare quello reale. Siamo investiti dalla minaccia di non saper più distinguere la web-vita dove tutto si rende possibile, facile e a portata di mano, dalla concretezza di noi stessi, dei nostri limiti, dell’altro da noi. I ragazzi oggi hanno più amici sui social che nella vita di tutti i giorni e sui social, lo leggiamo quasi ogni giorno, si caricano di violenza. È chiaro c’è chi, giovane e non, è più predisposto a questo, e chi meno, ma l’attenzione è assolutamente necessaria per tutti.
Da: La pietra della follia, nuove frontiere della psicologia contemporanea – dialogando con Tonino Cantelmi, di Chiara D’Urbano (Città Nuova, 2016)