La dinastia dei Brueghel

Realismo e sentimento dominano la splendida rassegna in corso a Como, espressione di un Seicento irrequieto pur nella sua festosità
Danza nuziale

Volete sapere come si viveva nei villaggi contadini delle Fiandre, all’inizio del Seicento? Osservate la grande tavola di Pieter Brueghel il giovane, sul 1610, in collezione privata americana, ma oggi esposta con altre 70 opere a Como, a Villa Olmo, fino al 29 luglio. Occasione unica per ammirare un mondo che non è poi lontanissimo da noi. Le floride contadinotte fiamminghe si sono scatenate nel ballo, con le gonne al vento, inseguite dagli amici, o mariti, o fidanzati ben in carne, ma agili come cervi. E il ritmo della danza si avvicina anche a certi balli da discoteca, anche se ovviamente molto più contenuti.
 
Ma la spigliatezza, la follia del divertimento è uguale. In fondo, la sposa siede paciosa al tavolo fra i parenti, ma sull’aia succede di tutto. Una coppia si bacia, altre gareggiano nel ballo, il prete del villaggio osserva il ragazzo che si disseta per riprendere poi la danza, la coppia col bambino in braccio osserva la sposa…
La vita del villaggio è qui. Non è certo il sabato di Leopardi, triste, qui tutto è festa: del moto, del colore, si sente che fa caldo e cappelli e cuffie stanno per volare in aria.
 
Il vecchio capostipite Pieter aveva anche lui dipinto un tema simile, altrettanto vivace, solo che qui il giovane è davvero scatenato: più corsivo quanto a pennellata, più chiaro e traslucido quanto a colore. Insomma, più comunicativo.
 
Una vera dinastia quella dei Brueghel, destinata a entrare in pieno secolo XVIII dal Cinquecento e a incrociare personaggi come Rubens. Pieter ricorda il padre e come lui dipinge paesaggi nevosi, fiumi che sono lastre ghiacciate dove pattinare, inverni malinconici. Sempre con un tono più vicino a noi, una poesia che si è fatta prosa. Ma che piace.
 
Quando i Brueghel entrano nel Seicento, gettano l’occhio su ogni genere e ne distillano, con il loro gusto realistico, amenità preziose. Sono i fiori, soggetto popolare e tipico dell’arte fiamminga, spesso, a essere i protagonisti. Sia nella Madonne col bambino come nelle Allegorie. Il barocco ama i fiori in maniera ossessiva, anche in Italia e in Spagna. Jan Brueghel il vecchio dipinge una Natura morta con tulipani stupenda, nel 1610: mentre Caravaggio, alla stessa data, firma l’ultimo sconvolgente David e Golia, Jan esalta nella carnosità dei petali, nella luce che li fa spumeggianti, una vita carica di sensualità, di soavità, di odori. Jan lancia un inno al creato, mentre il Merisi lascia il mondo. Quale contrasto. Ma è da questo amore per i sensi, del corpo e della natura, come fonte gioiosa, che parte l’arte festosa di un Rubens.
 
I Brueghel, intanto, si identificano sempre più nel genere floreale: Jan Pieter verso il 1675 si dedica con furia ancora a mazzi di fiori nei vasi, come variopinte ali di farfalle volanti (così sono i petali), composti o scomposti nei vasi di cristallo come fossero persone che parlano un loro linguaggio speciale, che solo il pittore comprende e ci trasmette. Sono belli e sottilmente inquietanti, questi fiori, e l’idillio campestre che circonda le tele sacre o mitologiche, nella indubbia serenità, possiede pure una vena di irrequietezza.
 
È l’anima del secolo, gloriosa ma drammatica, festosa e timorosa. I Brueghel trovano nella natura la grande voce per esprimere i sentimenti umani più riposti di cui essa si fa interprete. Realismo? Certo. Ma anche sentimento. I fiamminghi, l’affollata bottega dei Brueghel, in fondo sono dei sentimentali. Chi l’avrebbe detto. La mostra svela anche questa sorpresa.
 
La dinastia dei Brueghel. Como, Villa Olmo. Fino al 29/7 (catalogo Silvana editoriale).
 

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