La differenza come ricchezza. Francesco in Myanmar
«L’uniformità uccide l’umanità. Le differenze sono una ricchezza e su di esse si deve costruire l’armonia». Questa la “ricetta” di papa Francesco per il Myanmar, consegnata ai leader delle diverse religioni (compresi gli anglicani e i musulmani) che sono andati a trovarlo a sorpresa (l’incontro non era in programma) all’arcivescovado di Yangon, dove il papa risiede in questi giorni della sua vista in Birmania.
Nell’occasione, Francesco ha avuto anche un colloquio privato con il leader buddista Sitagu Sayadaw, considerato uno dei più influenti leader religiosi del Myanamr, con il quale, ha fatto sapere il portavoce vaticano Greg Burke, ha voluto «incoraggiare la pace e la convivenza fraterna come l’unica via da percorrere». «Ti ringrazio che sei venuto a trovarmi. Sono io che ti sto visitando», lo ha salutato il pontefice.
«La natura in Myanmar è stata molto ricca di differenze. Non abbiamo paura delle differenze. Uno è nostro padre. Siamo fratelli. Siamo come fratelli. E se discutiamo tra di noi, lascia che sia come fratelli. Che si sono riconciliati immediatamente. Sono sempre fratelli di nuovo. Penso che solo in questo modo si costruisca la pace», ha detto Francesco ai leader nel discorso improvvisato, con una esortazione molto appropriata in questo straordinario paese che esce da 60 anni di dittatura militare e ricorrenti guerre civili e che oggi è alle prese con la crisi umanitaria dei “Rohingya”, una minoranza musulmana invisa alla maggioranza buddista.
Nei suoi primi discorsi, come era abbastanza prevedibile, il papa non ha usato la denominazione “Rohingya”, per rispetto alla chiesa locale che gli ha chiesto prudenza e anche alla leader birmana San Suu Kyi che vede impegnata in una difficile transizione dalla dittatura ad una incerta democrazia. Ma Francesco si è riferito in modo trasparente alle persecuzioni che subiscono quando ha invocato in modo del tutto chiaro un cambiamento del Myanmar in direzione del «rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo, nessuno escluso, di offrire il suo legittimo contributo al bene comune».
I diversi momenti della visita di Francesco nella nuova capitale birmana, l’avveniristica Naypyitaw, hanno messo in evidenza la sintonia tra Francesco e la leader birmana, Aung San Suu Kyi,che ha anche pronunciato alcune parole in italiano per condividere in modo più diretto il senso storico di questa visita che rappresenta, una benedizione al processo democratico faticosamente in corso. «Continuiamo a camminare insieme con fiducia», ha detto la premio Nobel per la pace sottolineando che «questo incontro riafferma la nostra fiducia nella possibilità della pace e di un dialogo gentile e amorevole». «Grazie per essere arrivato qui da noi», ha detto ancora in italiano San Suu Kyi, che nel suo discorso ha citato anche un brano del messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace. «Santità – ha poi ripreso in inglese – ci porti forza e speranza». «Abbiamo il compito costruire una nazione fondato su leggi e istituzioni che garantiranno a tutti e ciascuno nella nostra terra giustizia, libertà e sicurezza». «La nostra nazione – ha affermato ancora la leader birmana citando esplicitamente parole di Francesco – è un ricco arazzo di diversi popoli, lingue e religioni, tessuti su uno sfondo di grande potenziale naturale. Lo scopo del nostro governo è di far emergere la bellezza delle nostre diversità e farne la nostra forza, proteggendo i diritti, promuovendo la tolleranza, garantendo la sicurezza per tutti».
“Il nostro obiettivo più importante – ha spiegato la leader birmana – è portare avanti il processo di pace basato sul cessate il fuoco a livello nazionale Accordo che è stato avviato dal precedente governo. La strada per la pace non è sempre liscia, ma è l’unico modo che porterà il nostro popolo al sogno di una terra giusta e prospera”, con “il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile assicurato per il futuro delle generazioni future potrebbe essere assicurato”.
“Posso solo esprimere apprezzamento – ha replicato Francesco – per gli sforzi del Governo nell’affrontare questa sfida, in particolare attraverso la Conferenza di Pace di Panglong, che riunisce i rappresentanti dei vari gruppi nel tentativo di porre fine alla violenza, di costruire fiducia e garantire il rispetto dei diritti di tutti quelli che considerano questa terra la loro casa. In effetti, l’arduo processo di costruzione della pace e della riconciliazione nazionale può avanzare solo attraverso l’impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani”. “Parole chiarissime”, ha commentato a Yangon il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, chiamandosi fuori dalla disputa nominalistica che appassiona alcuni media e che è costata alla leader birmana il ritiro di un premio ricevuto a Oxford. Le resta però il Nobel per la pace 1991 e l’attestato di stima della visita di Francesco.