La democrazia e le scorciatoie
A fine marzo, i riflettori si sono concentrati su Venezuela e Paraguay dove si è assistito a una grossolana e grottesca violazione di elementari princìpi democratici e dello Stato di diritto. In Venezuela il Tribunale supremo di giustizia, fortemente influenzato dal governo del presidente Nicolás Maduro che, poco prima dell’installazione del nuovo Parlamento controllato dall’opposizione, provvide a nominarne ben 7 membri a lui fedeli, ha emesso una sentenza − in realtà un comunicato −, con la quale ha deciso di assumere le funzioni del potere legislativo, considerato disobbediente per non aver ottemperato ad alcune sue disposizioni. I giudici non hanno indicato un solo articolo della Costituzione che giustificasse una qualche gerarchia tra i poteri statali atta a dargli tale attribuzione o che prevedesse un caso del genere. E non potevano, perché tali norme non esistono né sono deducibili dalla Carta. La notizia ha provocato le reazioni di numerosi Paesi, che hanno protestato per l’illegalità della decisione. Perù e Cile hanno richiamato in sede i propri ambasciatori, l’Organizzazione degli Stati americani, l’Unione europea e gli Usa hanno manifestato preoccupazione. Nel giro di 24 ore, dopo che il procuratore generale, una figura rispettata all’interno del chavismo, ha segnalato l’incostituzionalità del provvedimento, il governo ha annunciato di aver sollecitato i giudici a riconsiderare la sentenza, poi ritirata. L’esecutivo non ha mai preso in esame la palese nullità di tali atti. E prosegue così la crisi istituzionale che oppone il potere legislativo, in mano all’opposizione, e il governo, che cerca di neutralizzarlo in tutti i modi, nel mezzo di una polarizzazione estrema e nell’incapacità di arrivare a un dialogo che preservi il Paese dagli effetti di una durissima crisi sociale ed economica, con un’inflazione che ha superato il 700%. Seimila chilometri più a sud, ad Asunción, capitale del Paraguay, si verificava in contemporanea un altro episodio di surrealismo politico. Un gruppo di 25 senatori, su 45, sollecitava e otteneva una sessione straordinaria dell’assemblea. Ma invece di riunirsi nel Senato, in segreto e senza avvisare gli altri colleghi, i 25 legislatori si sono trasferiti presso la sede di un partito e lì hanno modificato il regolamento interno per consentire la presentazione di una mozione bocciata lo scorso anno, che pretende di rendere possibile un emendamento costituzionale affinché si possa rieleggere il presidente. L’attuale Costituzione, in effetti, non consente che un presidente possa tornare ad esercitare l’incarico. Il fatto è che sia l’attuale presidente Horacio Cartes che l’ex presidente Fernando Lugo aspirano a un nuovo mandato. Destra liberista e un gruppo del centrosinistra si trovano uniti in tale circostanza, entrambi convinti che «in democrazia, comanda la maggioranza». Sia a Caracas che ad Asunción le proteste sono sfociate in violenza e in Paraguay c’è pure scappato il morto. In entrambi i casi, nessuno al potere ha compreso il grave errore commesso. O almeno si fa finta di non comprenderlo. E, forse, questa è una delle questioni chiave della politica della regione. Sotto sotto, più di qualcuno è convinto che il semplice fatto di disporre dei voti necessari consenta di schivare le leggi, di crearne di nuove, di modificare quelle esistenti, anche costituzionali.
Ne è un esempio eloquente anche la destituzione della ex presidente del Brasile, Dilma Rousseff, avvenuta sorvolando i requisiti per l’impeachment pur di scaricarla e di insediare al suo posto il suo ex alleato, Michel Temer, con il chiaro obiettivo di frenare le indagini del gigantesco scandalo per corruzione che ha falcidiato ben 7 ministri del nuovo governo in meno di un anno. Sarà difficile in America Latina avere istituzioni solide e, pertanto, un vero sviluppo democratico, finché non sarà chiaro che la legge è la principale garanzia per un’autentica democrazia.