La dea fortuna
Parrà strano ma sono due bambini i veri protagonisti di La dea Fortuna, l’ultimo film di Ferzan Ozpetek . Ambientato tra Roma – quartiere Ostiense come sempre dove il regista italo-turco vive – e la Sicilia, inizia come una festa di nozze in cui due compagni da una quindicina d’anni insieme, Alessandro idraulico (Edoardo Leo) e Arturo intellettuale (Stefano Accorsi) scoprono la fragilità e l’assuefazione del loro rapporto di coppia, con reciproci tradimenti. Uno sguardo forse troppo disincantato su una realtà.
La sorpresa viene dalla presenza inattesa di Annamaria (Jasmine Trinca) amica dei due, che appare con i bambini Martina (Sara Ciocca) e Alessandro (Edoardo Brandi). Vuole lasciarglieli per alcuni giorni, il tempo per una visita in ospedale. Comincia così una vita nuova per i due uomini, Alessandro più libero e Arturo più impacciato, mentre i bambini devono adattarsi a fatica: la ragazzina, che ha visto troppo, e il fratellino bisognoso di affetto.
Momenti di crescita, di tensione fra i due che si ripercuotono sui piccoli, lasciati di fatto soli dai due uomini presi da loro stessi. Finchè l’imprevisto accade, e i bambini vengono portati in Sicilia dalla nonna, una megera su cui il regista infierisce con tocchi horror (la parte meno felice del film). Che faranno Alessandro e Arturo? Lasceranno i piccoli nella mani della nonna? O si adatteranno a ciò che la casualità – la dea Fortuna – ha previsto per loro e i ragazzini?
Al di là del manifesto sorridente, il film non è affatto sorridente. Ci costringe a pensare, se vogliamo. L’incertezza accompagna i rapporti di affetto tra gli adulti e con i piccoli, il disagio scorre sul filo di una tensione emotiva che il regista abilmente ricopre con una fotografa splendida, la recitazione appassionata degli attori grandi e piccini, ma il senso di una fatalità incombente è sempre presente. Manca una qualsiasi voce di speranza. I veri protagonisti, forse anche vittime di un mondo adulto spaesato, sono i bambini che non vorrebbero perdere il bisogno di tenerezza e di sicurezza.
Forse più che la dea Fortuna, glielo potrà dare l’amore autentico, dimentico di sé stesso, se i grandi lo capiranno. Ma Ozpetek non è sicuro nemmeno di questo in un film in cui rinunciando – in parte – ai soliti clichè mèlo, egli inizia a scavare più del consueto sui caratteri, e forse sulle anime, aprendo forse gli occhi suoi e di noi pubblico sugli effetti dell’egoismo e il bisogno di purezza dei bambini.