La cura necessaria per il malato Italia
L’Italia appare oggi come un corpo malato. È necessario fare una cartella clinica con esito degli esami, diagnosi e terapia. Ce la fornisce Luca Landò, ex ricercatore in neurobiologia, in La cura. Se l’Italia fosse un corpo umano, Chiarelettere 2017.
È insufficiente l’ormone della crescita. L’Alzheimer incombe sulla nostra ricerca. Dobbiamo comprendere che il destino di questo grande corpo-Paese dipende dalle “cellule” che lo compongono.
Noi italiani, anche attraverso il voto decidiamo a quale dottore consegnare la salute del nostro Paese. Conoscere malattie e cure ci aiuta a scegliere bene il medico, in questa fase storica dopo la “grande contrazione” 2008-2015.Possiamo uscire da questa comprendendo le patologie di debolezza cronica del sistema economico, sociale e politico del Paese, la malattia di quel paziente chiamato Italia.
In primo luogo occorre agire sull’ormone della crescita, in particolare sulla “ghiandola maestra” che regola lo sviluppo dell’intero organismo. È dagli anni Ottanta che la crescita rallenta, dopo 150 anni di aumento incredibile del Pil.
Dal 1995 l’Italia cresce meno della Ue e ora è impantanata nella bonaccia, in una persistenza della crisi. Quindi, i nostri guai sono iniziati trenta anni fa.
Invece di riprendere la strada dello sviluppo abbiamo tagliato la ricerca, non abbiamo fatto scelte strategiche, una politica industriale organica, innovazioni tecnologiche. Dovevamo esaltare le nostre capacità e punti di forza, cambiare strada e avere una visione strategica originale; non semplici e piccole riforme malfatte, per comprendere il ruolo che l’Italia ha oggi nel gran teatro dell’economia europea e mondiale.
Il Paese può uscire dalla crisi se punta sulle idee, sulla via dell’innovazione e dei servizi, su una crescita soft e non hard come quella in autostrade e grandi opere. Occorre una strategia mirata con un’idea di sviluppo, una scommessa sul futuro, la promozione di istruzione, ricerca e innovazione nella direzione giusta, per creare il tessuto sociale che genera sviluppo.
Dove passa l’innovazione
C’è una sola strada per tornare a crescere: l’innovazione. Gli investimenti da soli non bastano. Piccolo è bello: ma solo all’inizio dello sviluppo, poi diventa una fragilità. È necessario aggregare i cinque milioni di piccole e medie imprese.
L’innovazione vera richiede poi un lavoro collettivo degli imprenditori e l’intervento dello Stato nella ricerca di base. L’Italia deve muoversi in settori “nuovi” come la farmaceutica e le biotecnologie, con il sostegno pubblico insieme a fondi di investimento per attività di innovazione.
Lo Stato deve diventare imprenditore, afferma Mariana Mazzucato nel suo Lo Stato innovatore. Sfatare il mito del pubblico contro il privato, Laterza 2014. Attraverso gli introiti ottenuti dalla commercializzazione di nuovi prodotti, il Fondo nazionale per l’innovazione può sostenere nuove ricerche di base.
In caso di successo, le imprese possono restituire poi parzialmente i finanziamenti ottenuti. L’ormone della crescita di un Paese è complesso. Sono essenziali i recettori, come per il corpo umano. È necessario curare settore per settore del corpo prima di immettere ormoni. I dati europei relativi al primo trimestre 2017 ci dicono che siamo, con la Grecia, il Paese che resta attardato ora che la ripresa è ufficialmente consolidata.
Abbiamo da recuperare 8 punti di Pil sul 2008, mentre la Germania l’ha accresciuto del 6 per cento. Abbiamo il minor tasso di crescita: il nostro +0,2 per cento congiunturale si misura con il +0,5 dell’eurozona. Il Paese deve riflettere.
Occupazione al palo e crisi bancaria
Ci trasciniamo un grande problema bancario. La ripatrimonializzazione del sistema non è sufficiente rispetto alla montagna del credito deteriorato. Ci sono punte apicali di sofferenza come MPS e le due banche venete.
La spesa pubblica è rallentata, ma ha continuato ad aumentare nella componente corrente rispetto agli investimenti. Il mondo del lavoro riprende a orientarsi verso i contratti a tempo, sfumata la generosa decontribuzione.
Rimane il problema numero uno: l’arretramento della produttività e la mancanza di lavoro. Abbiamo un – 6 per cento di produttività totale dei fattori rispetto ad un’area tra +8 per cento e +12 per cento della grande maggioranza dei paesi Ocse.
La nostra produttività è positiva rispetto a settori esposti al commercio mondiale, mentre è negativa nei servizi pubblici. La produttività cresce per scala dimensionale delle imprese, sia pure con l’eccezione delle 6-7 mila medie multinazionali tascabili del quarto capitalismo, che hanno più alta produttività e maggiore efficienza allocativa.
Serve una sferzata di concorrenza nell’offerta di beni e servizi sul mercato domestico con servizi pubblici efficienti, non corporativi e professionali. Occorre superare l’opacità di acquisti pubblici e mercati protetti nel campo delle concessioni ed affidamenti, con dirigenti responsabili e non condizionati dalla politica e dalle lobby. Il capitale di rischio deve arrivare alle imprese senza essere strozzato da un sistema bancario troppo legato ad interessi forti. La qualificazione del capitale umano nella forza lavoro italiana è poi determinante nella sfida globale.
L’Europa è ufficialmente ripartita. Noi soli con la Grecia non abbiamo una solida ripartenza. Da qui la più alta percentuale di protesta anti-sistema. Questa è la nostra responsabilità politica. Non è più rinviabile l’ormone della crescita iniettando nel corpo malato dell’Italia ricerca, innovazione, concorrenza, inclusione sociale ed economia civile contro le enormi disuguaglianze.