La cura, luogo teologico (Dare to Care III)

 

La cura, l’epimēleia greca, sta diventando negli ultimi tempi un principio etico di fondamentale importanza. Come ho sottolineato negli articoli anteriori, questo concetto, tanto più praticato come poco pensato, secondo la filosofa spagnola Marta López, ha la virtù di rompere i dualismi che durano da secoli nel pensiero occidentale. In modo particolare, il dualismo tra femminile e maschile, tra razionale ed emotivo, tra clinico e sociale, tra corpo e anima. La cura, contrariamente a quanto tali riduzionismi trasmettono, è un concetto integrale che ha una profonda dimensione antropologica, politica ed ecologica.

In questo senso, la cura, come sostiene la nostra autrice, «guarda a ciò che dà dignità all’uomo e lo ingrandisce». A tutto ciò che dà dignità all’uomo, mi permetto di aggiungere. Pertanto, mentre smaschera l’ampia diffusione della disattenzione nella cultura dell’indifferenza verso l’altro, oggi dominante, diventa un importante fattore di trasformazione sociale. La cura non è ideologica, è invece un principio morale di enorme radicalità che sfida le coscienze, tanto più in questi tempi di crisi antropologica che la pandemia del Covid ha rivelato.

Dal punto di vista più intellettuale, proprio per il suo carattere integrale e inclusivo, la cura richiede inter e transdisciplinarietà. Abbiamo già menzionato la sua istituzione nella grande filosofia greca; oggi, dobbiamo dire che quella vita filosofica preconizzata da Socrate contiene la cultura scientifica e si estende al sacro e al trascendente.

Infine, è doveroso affermare, da un punto di vista strettamente teologico, che la categoria della cura si addice alla comprensione trinitaria di Dio. In essa, infatti, si intravede, in filigrana, «l’immagine di Dio Padre/Madre, custode del suo popolo e attento al suo dolore»; la figura del Figlio samaritano di tutti coloro che soffrono; l’icona dello Spirito «destinatario e garante della cura del Figlio sull’umanità». Per questo motivo, la proposta di Marta López di considerare la cura come un «luogo teologico» è davvero una felice intuizione, attraverso la quale verificare l’autenticità della vita di fede.

La cura non si occupa solo della fragilità umana. Se ben compresa, informa la vita umana in tutte le sue dimensioni, come abbiamo sottolineato. «Il suo diritto di nascita nel contesto dell’amore – sostiene la nostra autrice – non è belligerante, ma viaggia per la sua realizzazione, insieme alla misericordia, alla tenerezza, alla benevolenza, alla giustizia… alla magnanimità, alla prudenza». Per tutto questo, rappresenta uno straordinario campo d’azione comune per credenti e non credenti.

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