La cura delle nostre democrazie malate
Quale è la cura necessaria per la fragilità delle nostre democrazie occidentali? .
A 75 anni dalla nascita della Repubblica, l’Italia si trova ad affrontare una nuova sfida cruciale sul piano economico, sociale e politico. Si tratta infatti di prendersi cura di una “democrazia malata”. Ci aspettiamo, con il finire della pandemia, una ripresa economica ma ci attende al varco la fine del blocco dei licenziamenti.
Sta per iniziare il periodo incerto del semestre bianco del Presidente Mattarella con un Governo di emergenza nazionale strattonato dai partiti per piantare bandierine, in vista delle prossime elezioni. Nel 1946 si realizzò un compromesso storico alto e lungimirante, nonostante le profonde spaccature ideologiche. Sapranno i partiti di oggi trovare uno sguardo comune per lanciare il Paese oltre il declino degli ultimi 25 anni, dopo aver retto ai colpi del terrorismo rosso e nero, di mafia, massoneria e servizi segreti deviati, populismi di diversa natura?
Sfiducia circola nella Repubblica dei partiti che sembra essere oggi, per alcuni osservatori, “Repubblica senza partiti” mai diventata “dei cittadini”. Mattarella e Draghi godono di ampia credibilità. Ora devono spingere per fare quelle riforme strutturali chieste dalla storia oltre che dal Pnrr, della giustizia, Pubblica Amministrazione, concorrenza, fisco, lotta alle disuguaglianze, scuola, università e ricerca, mai seriamente affrontate, salvo ritocchi.
Negli ultimi 10 anni abbiamo avuto sette governi e sei premier. Una democrazia instabile e malata. Urgono riforme istituzionali e della legge elettorale per donare governabilità al Paese. Ad esempio, creare gruppi di non iscritti come al Parlamento europeo al posto del comodo ed enorme gruppo misto attuale; la sfiducia costruttiva; applicazione dell’art.49 della Costituzione sulla vita dei partiti; superamento di liste bloccate con cooptazione di fedelissimi, spesso mediocri.
I cittadini devono essere messi in condizione di scegliere parlamentari e governi. Per questo i leader dei partiti devono sedersi intorno ad un tavolo e trovare un compromesso alto, una via di uscita da una crisi innegabile, dannosa per tutti, alla fine. I giovani devono essere al centro dei loro pensieri essendo abitanti del futuro oltre che del presente. Devono poter decidere del loro futuro attraverso sedi decisionali intergenerazionali.
È ora di aprire un grande dibattito nazionale aperto a tutti per ricostruire la Repubblica del 2050 ed oltre. Ognuno di noi deve impegnarsi e lottare per costruire il futuro dell’Italia con passione e concretezza. I partiti devono tornare ad essere attrattivi trasformandosi da soggetti del potere a strumenti di intelligenza collettiva per offrire visioni, scenari, mobilitazione civica.
Devono aprirsi alla società per intercettare le ragioni dell’impegno, del disagio, della proposta dopo il fallimento dei populismi. È ora di puntare decisamente su giovani, donne, lavoro, scuola, Università e ricerca, sostenibilità in una Europa unita e forte per un mondo in pace.
La nostra democrazia può guarire. Condizione necessaria è che la politica con riforme strutturali riesca a vincere sulla vecchia Italia corporativa dei gruppi chiusi, sulla difesa dei propri privilegi. Siamo nell’età della frattura e della crisi del liberalismo.
I ceti sociali deboli si stanno allontanando dai partiti tradizionali progressisti creando spazi per i cosiddetti populismi e sovranismi. Per governare però non serve solo il consenso dei ceti medi ma anche quello dell’elettorato operaio e popolare. Occorre quindi proporre un futuro possibile per l’Italia, fondato su uno sviluppo capace di tenere insieme crescita, modernizzazione delle istituzioni, sostenibilità e coesione sociale.
Serve ridare fiato al Paese, dal Sud al Nord, dopo la pandemia, riducendo i divari. I partiti devono ritrovare credibilità, rispetto e considerazione dopo l’antipolitica.
Deve finire la trentennale delegittimazione della politica che è invece attività difficile, nobile e alta. Con la pandemia forse è terminata l’era populista e l’alternanza, molto italiana, tra populismo e tecnocrazia a causa della incapacità della classe dirigente di fare riforme serie e valide nel tempo.
Non c’è più spazio per leader e partiti effimeri. La scuola deve diventare il principale ascensore sociale, strumento di educazione, partecipazione, formazione di qualità per tutti, inclusione sociale. Vanno ripensati i tempi della cura, fuori e dentro la famiglia. È il momento infine di social investment sulle nuove generazioni: assegno unico per i figli, Next Generation EU. Urge una informazione trasversale, libera e di massa per una corretta dinamica del sistema democratico.
Il Covid 19 ci ha ricordato la nostra vulnerabilità come anello debole della catena della interdipendenza globale dei flussi di merci, denaro, persone, informazioni. La pandemia diventi allora l’occasione per comprendere la fragilità delle nostre democrazie occidentali per cambiare rotta rafforzando partecipazione e governabilità.
La grande svolta europea del Recovery Fund diventi il volano di una reale trasformazione green e solidale nella transizione ecologica e digitale. Non devono essere i più deboli a pagare il conto di questa crisi epocale rispondendo allo shock con equità, politiche redistributive, sostenibilità ambientale.
Le nostre democrazie non devono cedere alla tentazione di nuovi autoritarismi del capitalismo della sorveglianza. È possibile ritrovare un equilibrio tra economia reale, finanza e politica come guida. Dopo la pandemia alimentiamo speranza e non rancore.
È impossibile restaurare il sistema anteriore al Covid 19. È invece l’occasione di una seconda Ricostruzione della Repubblica dopo 75 anni, sul piano infrastrutturale, economico, sociale, politico e spirituale guardando al 2030-2050 come orizzonte delle riforme strutturali necessarie. Ovviamente con nuove leadership economiche e politiche capaci di assumersi rapidamente le proprie responsabilità.
Servono poi una Pubblica Amministrazione forte, capace di trasformare le decisioni politiche in azioni concrete, insieme ad un diffuso senso del dovere e civico dei singoli cittadini per rafforzare la comunità. Nasceranno democrazie più forti ed autorevoli senza la scorciatoia autoritaria.
La politica deve far finire la guerra dichiarata dai “pochi” contro ” i molti” negli ultimi decenni (Nadia Urbinati), tramite politiche eque e inclusive degli “scartati”. Dobbiamo imparare a pensare in maniera strategica reagendo con intelligenza collettiva all’imprevedibile con spirito di squadra e leadership diffusa. La crisi del Covid 19 ha avviato nuovi orizzonti europei di solidarietà. Appare ora più evidente la sfida cinese all’egemonia americana messa in discussione da Trump.
Con Biden e nuova Ue appare possibile una rinascita delle democrazie occidentali. Ora siamo proiettati nel futuro della nuova epoca post pandemia. Stiamo individuando gli strumenti ed un nuovo pensiero politico per costruire un possibile Rinascimento nel segno di un rinnovato umanesimo.
La Ricostruzione inizi dal prendere consapevolezza della vulnerabilità umana e della interdipendenza degli umani, della natura e dei flussi di cose e informazioni. Sulle ceneri della crisi del cosiddetto “capitalismo clientelare” alla cinese o alla occidentale, può essere liberato ” il regolatore”, lo Stato, per governare una globalizzazione non iper ma umana, rispettosa dei diritti delle persone, dei ceti sociali meno abbienti, degli equilibri ecologici.
Si tratta di chiudere il cerchio avviato dagli economisti mainstream alla fine degli anni 70 del secolo scorso, con privatizzazioni, deregulation, massimizzazione degli utili per gli azionisti. È l’ora di un nuovo Rinascimento con un programma di interventi pubblici e privati, con una nuova regolazione dell’economia orientata alla “felicità pubblica”. Tutto questo apre la strada ad un nuovo pensiero politico ed economico nel mondo occidentale per diffondersi poi a livello mondiale.