La cultura della risurrezione

Vita piena da vivere già nel presente della nostra storia.
Convegni

«Se Cristo non è risorto – afferma l’apostolo Paolo – , vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1 Cor 15,14). Se Cristo è risorto, anche noi risusciteremo. Si tratta, dunque, di una verità fondamentale che investe tutto il nostro pensare, il nostro agire e il nostro sperare. Appunto perché la “fede” non è un semplice assenso a delle verità, ma un modo integrale di concepire la vita.

Gesù – afferma ancora Chiara nel commento – vuole darci una Vita piena da vivere subito, nel presente della nostra storia personale e collettiva, una Vita che non muore.

La verità della resurrezione prende la sua ragionevolezza dalla natura di quella Vita e da Chi ce la vuol donare. Si tratta dello stesso Dio, che ci ha mostrato il suo volto amoroso nell’umanità del suo Figlio. E quella che vuol donarci è la Vita della Trinità, grembo di eterno amore dal quale tutto è scaturito. Simile Vita non può conoscere la corruzione definitiva. Noi possiamo usufruirne attraverso l’identificazione con Gesù, essendo lui per mezzo della Parola, l’amore reciproco e la comunione eucaristica: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54).

Dice il teologo Kessler: «Con la resurrezione corporea di Gesù, Dio ha annunciato anche in maniera inequivocabile il suo diritto escatologico sui nostri corpi (e quindi sul nostro mondo). (…) In questo modo Dio salvaguarda il suo diritto di creatore». In altre parole, con la resurrezione, Dio reclama i suoi “diritti d’autore” sulle sue creature, create da lui per amore e chiamate all’amore. È un segno sbalorditivo della dignità che l’uomo acquista agli occhi di Dio secondo il suo disegno eterno. La stessa dignità che ogni uomo dovrebbe avere agli occhi degli altri uomini.

La resurrezione ha quindi una dimensione escatologica riguardante la vita al di là della storia e “richiesta” dalla storia stessa: non è pensabile, come dice Benedetto XVI, che «l’ingiustizia della storia sia l’ultima parola» (SS n. 43). C’è qualcosa in noi che si rivela all’impossibilità di vedere pienamente appagati i nostri aneliti d’amore più profondi e veri.

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