La culla della comunità d’amore
Per il secondo ed ultimo appuntamento della rubrica con gli "Gli sposi e la famiglia secondo Igino Giordani" di Città Nuova la riflessione di Giordani su Concilio Vaticano II e famiglia analizzati dall'autrice Colomba Kim
La rilettura delle opere di Igino Giordani, i grandi cambiamenti dell’epoca, le novità apportate da eventi quali il Concilio Vaticano II. Colomba Kim li analizza e le fonde nella riflessione, intessuta del vissuto personale del politico e giornalista italiano, nel libro "Gli sposi e la famiglia in Igino Giordani", oggetto prima di studi ed oggi pubblicati in questo volume da Città Nuova al suo ultimo appuntamento della rubrica.
«Nell’articolo La famiglia, chiesa minuscola del 1939, Giordani aveva già trovato che la famiglia ha il grande compito «d’essere una comunità distributrice di grazie, una comunità di sacrificio, d’amore e di fede»[1], e nella pubblicazione de La società cristiana del ’42, lo aveva ribadito specificatamente. Nel ’40, pubblicava La repubblica dei marmocchi: con un umorismo sopraffino, descriveva il rapporto intenso che c’era nella sua stessa famiglia paragonandola alla struttura di un atomo. Non quello della vecchia fisica: un elemento solido, indivisibile ed inattaccabile dalle forze esterne, bensì quello della moderna scoperta della sua struttura con nucleo, protoni ed elettroni. Giordani paragonava gli elettroni, che si muovono a grande velocità nell’interno del nucleo, ai figli che corrono per i corridoi della casa.
«È la vita: e reagisce, a calci e a risate a garganella, contro la pressione d’acciaio, d’esplosivi e di stupidità, esercitata, d’ogni parte, della morte. Non per nulla ride, negli occhi dei bambini, la luce di Dio, che è Dio di vivi e non di morti, come ha detto Gesù, amico dell’infanzia (LRM, p. 230). Di fronte ai bambini che trotterellavano, gridavano, si impegnavano ad una partita di calcio, immancabilmente facendo saltare a pezzi qualche paralume, cresceva pure l’amore tra i coniugi: è la sua esperienza tenera della vita familiare.
«E noi due grandi, in mezzo, ce li riguardiamo, presi nelle spire d’una improvvisa tenerezza. La mano di lei trema nella mia, come a trasmettermi una corrente elettrica di ricordi e di affetti: una corrente che si chiama amore; e anima, lo vedi, questa letizia di primavera (LRM, p. 39).
«In un articolo del ’58, trattando del rapporto tra genitori e figli, Giordani sottolinea di nuovo il rapporto d’amore che deve reggere la famiglia. Come la convivenza civile, se non è determinata dall’amore, si riduce ad aggregazione di individui, controllati dalla polizia o dalla minaccia di legge, così se difetta l’amore, la convivenza familiare perde il suo vero senso. Perciò Giordani auspica che l’amore familiare si faccia carità.
«Esso allora riesce a fare della casa una Chiesa, in cui la società domestica si conforma alla società divina (la Trinità). Se manca questo amore, vincolo di perfezione, subentra il disamore, fermento di disunione: e la disunione è degradazione. E poiché si vuole educare la prole alla socialità (e da taluni si spiega l’evasione come anelito ad associarsi col resto dell’umanità) si vede che l’educazione migliore avviene proprio attraverso l’esperienza familiare… Siffatti fenomeni dicono quanto urga ricomporre l’unità, con la santità, della famiglia. Ed essa si ricompone – e si preserva – con una risorsa unica: un “supplemento d’amore”[2].
«Con grande sensibilità, Giordani convalidava la sua riflessione sulla famiglia con la sua esperienza personale. Il Concilio Vaticano II aveva definito la realtà del matrimonio come «l’intima comunità di vita e d’amore coniugale»(GS 48), caposaldo dell’intera riflessione conciliare. Perciò dal Concilio la famiglia cristiana è chiamata “comunità di amore”. I due sposi amandosi si ricambiano i doni di Dio, che è amore: e impiantano la famiglia sulla base fondamentale della religione che è l’amore[3].
«L’opera La famiglia comunità d’amore del ’69, non è la trattazione sistematica di una dottrina sulla famiglia; contiene però la struttura fondamentale di una teologia della famiglia, maturata nella meditazione e nella esperienza della sua vita: Giordani effonde, con la prosa fluente e spigliata che gli è propria, la piena del cuore, come ha ben evidenziato T. Sorgi nella sua presentazione. La famiglia è ritratta per quello che è, in quest’ottica soprannaturale: una comunità immersa nelle contraddizioni e nelle sofferenze, ma alimentata da una sorgente divina che la rende capace delle più alte forme di amore umano e di consacrazione[4]
«Ricordando la Gaudium et spes al n. 48, che puntualizza l’importanza del mutuo amore tra i coniugi, e le parole di sant’Agostino, «ama e fa’ quello che vuoi», Giordani evidenzia che la famiglia è fatta di amore e per l’amore. Se c’è amore, c’è vita, la quale fiorisce in forza, in intelligenza, in gioia, e supera tutte le difficoltà. Esso tramuta in materiale di vita anche le sofferenze, così come Maria e Giuseppe indirizzarono alla redenzione anche la stalla di Betlemme, la fuga in Egitto, lo smarrimento di Gesù, le prove e le fatiche… Esso salva in famiglia, anche quando prove drammatiche, morbi e patimenti d’ogni sorta, penuria di mezzi, minacciano di schiantarla, ché alla fine, anche sull’orlo della disperazione, chi vince è l’amore (FCA, p. 31)».