La croce
Strumento necessario, per cui il divino penetra nell'umano e l'uomo partecipa con più pienezza alla vita di Dio.
«Prenda la sua croce…».
Strane e uniche queste parole. E anche queste, come le altre parole di Gesù, hanno qualcosa di quella luce che il mondo non conosce. Sono così luminose che gli occhi spenti degli uomini, e anche dei cristiani languidi, restano abbagliati e quindi accecati.
Forse nessuna cosa è più enigmatica della croce, più difficile a capire; non penetra nella testa e nel cuore degli uomini. Non entra perché non è compresa, perché siamo spesso diventati cristiani di nome, appena battezzati, forse praticanti, ma immensamente lontani da come ci vorrebbe Gesù.
Si sente parlare della croce a Quaresima, si bacia il Venerdì Santo, si appende nelle aule. Essa sigilla col suo segno alcune nostre azioni; ma non è capita. E forse tutto l’errore sta qui: che nel mondo non è capito l’amore.
Amore è la parola più bella, ma la più deformata, la più deturpata. È l’essenza di Dio, è la vita dei figli di Dio, è il respiro del cristiano, ed è diventata patrimonio, monopolio del mondo; è sulle labbra di quelli che non avrebbero diritto di nominarla.
Certo, nel mondo, non tutto l’amore è così: c’è ancora il sentimento materno, ad esempio, che nobilita – perché misto al dolore – l’amore: c’è l’amore fraterno, l’amore nuziale, l’amore filiale, buono, sano: orma, magari inconscia, dell’Amore del Padre creatore del tutto.
Ma quello che non è capito è l’amore per eccellenza: è intendere che Dio, che ci ha fatti, è sceso fra noi come uomo fra gli uomini, è vissuto con noi, è rimasto con noi e s’è lasciato inchiodare sulla croce per noi: per salvarci.
È troppo alto, troppo bello, troppo divino, troppo poco umano, troppo sanguinoso, doloroso, acuto per esser
capito. Forse attraverso l’amore materno qualcosa s’intende, perché l’amore di una madre non è solo carezze, baci; è soprattutto sacrificio.
Così Gesù: l’amore l’ha spinto alla croce, che da molti è ritenuta pazzia. Ma solo quella follia ha salvato l’umanità, ha plasmato i santi.
I santi infatti sono uomini capaci di capire la croce. Uomini che, seguendo Gesù, l’Uomo-Dio, hanno raccolto la croce di ogni giorno come la cosa più preziosa della terra, l’hanno alle volte brandita come un’arma diventando soldati di Dio; l’hanno amata tutta la loro vita e hanno conosciuto ed esperimentato che la croce è la chiave, l’unica chiave che apre un tesoro, il tesoro. Apre piano piano le anime alla comunione con Dio. E così, attraverso l’uomo, Dio si riaffaccia sul mondo, e ripete – sia pur in modo infinitamente inferiore, ma simile – le azioni che fece un giorno Lui quando, uomo tra gli uomini, benediceva chi lo malediceva, perdonava chi lo insultava, salvava, guariva, predicava parole di Cielo, saziava affamati,
fondava sull’amore una nuova società, mostrava la potenza di Colui che l’aveva mandato.
Insomma la croce è quello strumento necessario per cui il divino penetra nell’umano e l’uomo partecipa con più pienezza alla vita di Dio, elevandosi dal regno di questo mondo al Regno dei Cieli.
Ma occorre «prendere la propria croce…», svegliarsi al mattino in attesa di essa, sapendo che solo per suo mezzo arrivano a noi quei doni che il mondo non conosce, quella pace, quel gaudio, quella conoscenza di cose celesti, ignote ai più.
La croce… cosa tanto comune. Così fedele, che non manca all’appuntamento di nessun giorno. Basterebbe
raccoglierla per farsi santi. La croce, emblema del cristiano, che il mondo non vuole perché crede, fuggendola, di fuggire al dolore, e non sa che essa spalanca l’anima di chi l’ha capita sul regnodella Luce e dell’Amore: quell’Amore che il mondo tanto cerca, ma non ha.