La Croce dei migranti e l’impegno per la vita
Un giubbotto, appartenuto ad un migrante scomparso in mare lo scorso mese di luglio, consegnato a papa Francesco da un gruppo di soccorritori è diventato il simbolo della sofferenza dell’uomo di fronte all’ingiustizia, ma anche dell’«l’imprescindibile impegno della Chiesa a salvare le vite dei migranti, per poi poterli accogliere, proteggere, promuovere ed integrare».
Commozione nelle parole del papa quando accoglie in Vaticano i 33 i profughi arrivati di recente da Lesbo grazie a un corridoio umanitario. Tra i rifugiati ci sono 14 minori e una decina di fedeli cristiani.
Attualmente a Lesbo, nel campo profughi di Moria, sono presenti oltre 14 mila migranti: afghani, siriani, iracheni e africani, soprattutto somali. Il problema maggiore è il sovraffollamento, che causa problemi sanitari, malattie, disagio soprattutto per le donne e i bambini.
«Siamo di fronte ad un’altra morte causata dall’ingiustizia – ha sottolineato papa Francesco -. Già, perché è l’ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre. È l’ingiustizia che li obbliga ad attraversare deserti e a subire abusi e torture nei campi di detenzione. È l’ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare».
«I soccorritori – spiega – mi hanno raccontato come stiano imparando l’umanità dalle persone che riescono a salvare. Mi hanno rivelato come in ogni missione riscoprano la bellezza di essere un’unica grande famiglia umana, unita nella fraternità universale».
Il giubbotto “veste” una croce in resina colorata, che è stata esposta nell’accesso al Palazzo Apostolico dal Cortile del Belvedere. Essa rappresenta l’esperienza spirituale dei soccorritori e vuole ricordare a tutti l’impegno «inderogabile di salvare ogni vita umana, un dovere morale che unisce credenti e non credenti». La croce è trasparente, perchè deve essere una sfida a guardare “con maggiore attenzione e a cercare sempre la verità”; è anche luminescente, “perché vuole rincuorare la nostra fede nella Risurrezione”.
Ai piedi della croce, c’è il logo dell’organizzazione “Mediterranea”, piattaforma di salvataggio impegnata nei soccorsi nel Mar Mediterraneo.
La croce, simbolo che interroga fortemente l’umanità, che pone domande scomode, che chiede l’impegno esigente da parte di tutti. Come si può, allora, non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli e sorelle costretti ad affrontare il mare in tempesta piuttosto che «morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile»?
Come si può rimanere indifferenti «di fronte agli abusi e alle violenze di cui sono vittime innocenti, lasciandoli alle mercé di trafficanti senza scrupoli?», domanda Francesco, ringraziando coloro che, invece, hanno deciso di non rimanere indifferenti e si fermano a soccorrere le persone come il Buon samaritano.
«Non è bloccando le loro imbarcazioni che si risolve il problema – afferma, poi, il papa- . Bisogna impegnarsi seriamente a svuotare i campi di detenzione in Libia, valutando e attuando tutte le soluzioni possibili». Occorre, infatti, passare a misure concrete: denunciare i trafficanti, mettere da parte gli interessi economici, tornare a mettere al centro la persona, la sua vita e la sua dignità, che sono “preziose agli occhi di Dio”.
«Bisogna soccorrere e salvare, perché siamo tutti responsabili della vita del nostro prossimo, e il Signore ce ne chiederà conto al momento del giudizio».