La crisi spinge a cambiare

La manovra del governo costringe a modificare scelte e abitudini. C’è chi vi ha trovato un’opportunità. Le condizioni per riuscire.
Meccanici di biciclette

«Prima o poi arriva il momento di cambiare». Sembra il biglietto da visita del nuovo anno. La scritta, che campeggiava tempo fa lungo alcune strade di Roma, suscitava qualche riflessione ai passanti, come è successo alla compagnia della sottoscritta. C’era chi la interpretava come un monito a chi di novità non vuol sentir parlare, mentre altri la intendevano come un conforto per chi invece non vede l’ora di cambiare qualcosa o qualcuno. Punti di vista… Dimenticavo, i soggetti, anzi gli oggetti in questione erano dei divani in attesa di essere sostituiti. E a questo proposito qualcun altro faceva notare quanto spesso sia difficile lasciare certe “poltrone”.

 

Con il nuovo anno, e soprattutto con i primi effetti della pesante manovra varata dal governo Monti, il popolo italiano si è diviso in categorie: c’è chi asseconda la necessità di un mutamento e si dà da fare per concretizzarlo; chi pensa che il cambiamento desiderato per sé dipenda solo dagli altri; chi pensa che siano gli altri a dover cambiare; chi non ce l’ha e non la vuole proprio avere (guai a parlare di un qualsiasi cambiamento); chi l’avrebbe, ma si scoraggia di fronte al percorso da intraprendere; ed anche chi un cambiamento lo subisce e deve tirar fuori le risorse per adattarsi a una nuova condizione.

 

Le situazioni in cui ci si può trovare sono varie e non sempre dipendono da noi nella loro totalità. Forse, però, è nelle nostre possibilità non rimanerne schiacciati anche nei casi più difficili. «Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare», affermava Paolo Borsellino, il magistrato che pagò con la vita l’impegno per la legalità nel capoluogo siciliano. E Malcolm X, il noto attivista afroamericano di Harlem, sosteneva: «Gli uomini quando sono tristi si limitano a piangere sulla propria situazione. Quando si arrabbiano, allora si danno da fare per cambiare le cose». Indignarsi, dunque, per cambiare, per tirare fuori il meglio (non il peggio) di sé. Prime parole chiave. E poi, anche, correre il rischio. «Non so dire in verità se la situazione sarà migliore quando cambierà; posso dire che deve cambiare se si vuole che sia migliore», asseriva Georg Christoph Lichtenberg, fisico e scrittore tedesco.

 

Ma come fare a cambiare le cose di fronte non solo ai soldi e al lavoro che latitano ma pure davanti a un’ingiustizia, al menefreghismo di tanti, a una difficoltà in famiglia, al lavoro, nel condominio, in «questo mondo di ladri», come cantava Venditti, dove però «c’è ancora un gruppo di amici che non si arrendono mai»? Altre parole chiave: non arrendersi, non da soli.

 

Marta, 17 anni, è rappresentante di classe al quarto anno di un istituto grafico pubblicitario di Roma. La sua classe, organizza un viaggio di istruzione in Spagna e lei raccoglie tutte le adesioni. Uno dei ragazzi, però, non può partire: è diversamente abile e né l’alloggio, né il pullman sono idonei per le sue esigenze. «Subito vado in presidenza – racconta – insieme a un’altra compagna rappresentante di classe, per chiedere spiegazioni», ma non trovano molta “accoglienza”. Le due ragazze propongono alla classe di non partire più per solidarietà nei confronti del loro compagno e tutti accettano, nonostante la preside informi che avrebbero perso i soldi già versati. La vicenda si conclude con la promessa della preside di un altro viaggio di istruzione che tenga conto delle necessità del ragazzo in difficoltà.

 

A Martellago, in provincia di Venezia, l’attraversamento di una certa strada è molto pericoloso per la poca visibilità del passaggio pedonale e l’alta velocità degli automobilisti. Frenate brusche, sorpassi rischiosi, incidenti sfiorati a più riprese. Alcuni cittadini segnalano il problema a un assessore, altri raccolgono firme da consegnare ai vigili, ma non ottengono risposte. Si pensa allora di scrivere al sindaco.

 

«Nella lettera – spiegano alcuni di loro – abbiamo cercato di mettere in risalto la gravità della situazione, ma senza accusare nessuno, proponendo le soluzioni possibili e ricordando le iniziative positive, come l’istituzione del “pedibus” e l’utilizzo della bicicletta in città». Naturalmente c’è chi contesta l’iniziativa, chi è sfiduciato, e anche il sindaco all’inizio mostra la sua contrarietà; ma, invitato a leggere la lettera, e forse sorpreso dai toni, accetta di dialogare con la cittadinanza. Nasce l’idea di attivare, come già in un’altra via dello stesso comune, un rilevatore di velocità illuminato che lampeggia quando si superano i 50 chilometri orari e di evidenziare in rosso i passaggi pedonali.

 

Antonella di San Severo (Fg) ha una zia malata di Alzheimer di cui si occupa quotidianamente. Standole vicino sperimenta la fatica, la solitudine, la paura, l’assenza delle istituzioni. È così che le viene un’idea: affrontare insieme, in maniera originale, la situazione che vivono gli ammalati e le loro famiglie. Ne parla con il medico geriatra che cura la zia e dal confronto trilaterale paziente-medico-famiglia nasce la volontà di dar vita a un’associazione che sia in grado di dare una risposta a una vicenda che interessa molte persone.

 

«L’abbiamo chiamata “Umanità Nuova ‑ La casa dei sogni”. In effetti – racconta – c’è bisogno di sognare, ma se si sogna da soli è facile che il sogno rimanga tale; se a sognare si è in tanti, allora può diventare realtà». E tanti sono quelli che aderiscono all’associazione: medici, psicologi, volontari ospedalieri, vecchi amici di scuola che si dedicano agli “ultimi” della città.

 

Nasce anche l’Alzheimer Cafè. Antonella un giorno pensa di accompagnare la zia di 89 anni, che da tempo non esce di casa, al bar di un’amica per consumare insieme a una coetanea novantenne una cioccolata calda e un succo di frutta. Gioia e incredulità al primo appuntamento, ma la storia si ripete e ora sono quindici le persone che tornano a uscir di casa. La voce dell’iniziativa si sparge in città ed è un fiorire di idee e realizzazioni, compresa una macchina per il trasporto messa a disposizione dall’assessorato ai servizi sociali del comune (www.glocalcity.org).

 

Non sempre, dobbiamo ammetterlo, si può effettivamente realizzare il proprio bisogno di cambiamento. E allora torna in mente quella sorta di invocazione espressa da Tommaso Moro: «Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere».

Aurora Nicosia

 

Lo psicologo Cavaleri

La vita è una continua novità

 

Quanto siamo fatti per cambiare?

«Esiste una letteratura molto vasta secondo la quale la vita è un continuo cambiamento – afferma Pietro Cavaleri, psicologo, dirigente Asl di Caltanissetta, docente universitario e autore di alcuni libri per l’editrice Città Nuova –. Se anche la nostra mente non fosse aperta a ciò, vi siamo comunque destinati. Il nostro equilibrio, infatti, si rigenera custodendo l’esperienza, ma aprendosi al nuovo; la salute mentale si nutre di fedeltà ed apertura. Questo equilibrio funziona non solo per il singolo, ma anche all’interno di un sistema familiare, sociale, nazionale, sovranazionale».

 

Che suggerimenti dà a chi deve affrontare novità di un certo rilievo nella propria vita?

«Basti sapere che la novità alimenta la vita, quindi occorre focalizzare la novità, dare un nome al bisogno di cambiare e rendersi protagonisti di un processo. Il cambiamento, poi, risulta vitale nella misura in cui il dato nuovo viene assimilato all’esperienza precedente, altrimenti crea troppi scompensi. Certo è che le persone disposte al cambiamento godono più facilmente di benessere mentale, le altre sono più passibili di sofferenza».

 

Come reagire se il cambiamento ci troviamo a subirlo?

«Quando una novità dipende dal contesto che ci circonda si potrebbe avere più difficoltà a reagire. Ogni limite, infatti, può essere visto come un blocco, una difficoltà insormontabile; oppure come uno stimolo a un nuovo processo. Ecco, converrebbe mettere in moto questo secondo atteggiamento».

 

Su quali elementi conviene puntare in questo momento di grande instabilità sociale?

«Occorre puntare molto sulle relazioni. La storia ci dimostra che in ogni momento difficile l’essere umano rivaluta il rapporto con l’altro, una risorsa inesauribile. Serve riprendere la propensione a parlare, a non chiudersi, sapendo che nessuna crisi potrà tagliare la relazione e credendo nelle sue potenzialità. Diciamolo pure, siamo figli della tecnologia, della scienza, e questo sembra aver anchilosato la nostra creatività. Ricordiamoci invece che la specie umana si è evoluta adattandosi al nuovo, quindi rimettiamola in moto».

 

La sociologa Mora

Mutare tra resistenze e necessità

 

Forse gli italiani sono migliori di quello che credono. Anche in questa fase acuta della crisi. Nel 2011 il 72 per cento dei connazionali non è riuscito a risparmiare un euro. Eppure, oltre il 57 per cento, documenta il Censis, si dice «disponibile a sacrificare il proprio tornaconto personale per l’interesse generale del Paese». Il momento è delicato ed oltre la metà dei cittadini ritiene che «la riduzione delle disuguaglianze economiche» vada «subito messa al centro dell’attenzione collettiva per costruire un’Italia più forte».

 

Cambiare abitudini, stili di vita, prospettive, lavoro deve ormai entrare stabilmente nell’orizzonte di tutti?

«Una mia amica, sere fa – riferisce Emanuela Mora, docente di sociologia dei prodotti culturali alla facoltà di Scienze politiche della Cattolica di Milano –, si lamentava delle scelte del comune di Milano: “Trovo intollerabile che l’amministrazione prenda delle misure che mi costringono a mutare le mie abitudini”. Sappiamo che il cambiamento porta novità e creatività ma quando è imposto da una crisi non è, per le persone, il momento migliore per modificare i propri assetti. La costrizione a cambiare le abitudini provoca irrigidimenti. Necessario allora che le istituzioni aiutino le persone che fanno fatica indicando con chiarezza i benefici che ne deriveranno nel medio periodo».

 

Il lungo periodo di crisi precedente ci ha preparati a far fronte alle future maggiori difficoltà?

«Bisogna tener presente la complessità dell’attuale situazione. L’episodio della mia amica è emblematico di un atteggiamento generale. Manca al momento, sia da parte di chi ha responsabilità di politiche pubbliche sia da parte dei cittadini, la fiducia che i due percorsi, quello delle vite private e quello delle istituzioni, siano ben ingranabili tra loro».

 

Di solito gli italiani sanno reagire in modo costruttivo. Questa volta ci sono le condizioni per aprire nuovi percorsi?

«Nelle avversità gli italiani sanno sempre dare prova di creatività e inventiva. Non posso però non vedere due fattori che mi sembrano rendere strutturalmente difficile adesso la messa a profitto di quelle doti per il bene delle singole persone e della collettività. Da un lato, il carente investimento di tutti in educazione, formazione e cultura, dall’altro, l’arretratezza del nostro sistema in termini di innovazione tecnologica».

 

 Ci sono elementi incoraggianti per vivere con speranza il 2012?

«Ho colto in quest’ultimo periodo segnali che stanno percorrendo il Paese: il cambio di passo del linguaggio del nuovo governo ha dato alla gente la percezione di un mutamento nel rapporto con le istituzioni; inoltre nascono opportunità laddove si riesce ad iniettare fiducia nel fatto che si possano fare le cose in maniera diversa, lasciando spazio a nuovi attori, perché c’è gente disposta a mettersi in gioco per il Paese; infine, registro tanti segnali di condivisione e di impegno nei territori, dove prendono vita nuove solidarietà o si organizzano in modo nuovo antiche solidarietà, perché le dimensioni della crisi fanno capire a tutti che nessuno si salva da solo. Quindi assieme alla paura, al razzismo, all’autarchia, si propagano generosità, apertura, inclusione».

Paolo Lòriga

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