La politica italiana sui quotidiani internazionali

Dal New York Times al Der Spiegel, da Le Monde a El Paìs, le analisi dei corrispondenti esteri dopo la rinuncia del premier incaricato Conte e la decisione del presidente Mattarella di convocare Carlo Cottarelli per affidargli l'incarico di governo.

«Una lezione di educazione civica data agli italiani»: è così che il New York Times definisce il discorso di domenica sera di Mattarella, in cui il nostro presidente della Repubblica «ha spiegato che stava soltanto adempiendo ai suoi doveri costituzionali di assicurare un governo stabile che faccia gli interessi degli italiani». La testata newyorkese, con i suoi corrispondenti da Roma, ripercorre i passi che hanno portato alla crisi istituzionale: l’incontro tra il premier incaricato Giuseppe Conte e Mattarella, la presentazione della lista dei ministri indicati da Movimento 5 Stelle e Lega, lo stallo sul nome di Savona – che ha espresso in passato posizioni critiche nei confronti di Euro e Ue -, l’indisponibilità ad un nome alternativo, e la conseguente rinuncia al mandato da parte di Conte con la prospettiva di un governo tecnico e probabili elezioni a breve.

Il Nyt ipotizza che Salvini abbia di proposito forzato la mano così da capitalizzare il consenso raccolto alle prossime elezioni – consultazioni in cui, ricucita un’alleanza in realtà mai saltata con il resto del centrodestra, la coalizione avrebbe questa volta una maggioranza chiara. Una mossa tattica, insomma, a fronte di una soluzione di compromesso assai difficile.

Su toni più sferzanti, come da sua tradizione, lo spagnolo El Paìs che, ripercorrendo la vicenda nell’articolo “Il veto su un ministro euroscettico fa saltare la formazione del governo in Italia”, ricorda come Mattarella abbia più volte affermato di non essere «un semplice notaio che firma qualsiasi cosa gli si metta sopra il tavolo»; e sottolinea come altre volte, nella storia repubblicana, il Quirinale si sia opposto alla scelta di un ministro. Solo che, in tali casi, il presidente del Consiglio incaricato aveva sempre proposto un nome alternativo, cosa che con Conte non è avvenuta.

“Nuove elezioni incombono mentre i populisti si infuriano”, titola il britannico Guardian, con parole assai simili ai compatrioti del Times. Il Guardian insiste in particolare sulla rabbia di Lega e M5S e sulle conseguenze che potrebbe avere a livello popolare, definendo la mossa di Mattarella «senza precedenti nella storia recente»; e collega il pezzo ad un editoriale della settimana scorsa di Larry Elliott in cui il giornalista, pur usando parole tutt’altro che tenere nei confronti dell’Ue e della moneta unica, riconosce che «l’Unione europea è una maledizione – sostenendo la posizione dei partiti euroscettici –, ma uscirne è peggio», come, verrebbe da dire, sta a sue spese scoprendo la Gran Bretagna.

E dalla tanto criticata Germania? Der Spiegel, che aveva definito l’italia «un Paese malato», si mantiene su toni abbastanza fattuali riferendo quanto accaduto prospettando nuove elezioni in autunno; elezioni in cui però, ricorda, non sarebbe affatto scontato il raggiungimento di una maggioranza. Più sferzante l’editoriale di Hans Schlamp, “Senza guida a Roma”, in cui la mancata nomina di Savona viene definita «una cortesia verso la Merkel» – lo riconoscono i tedeschi stessi, verrebbe da dire, date le posizioni antitedesche del ministro indicato; e si parla di un “piano B per Salvini: B come Berlusconi”, pronosticando come il Nyt un riavvicinamento tra i due.

In Francia, Le Monde titola “Conte, in disaccordo con il presidente, rinuncia ad essere capo del Governo”; e afferma che l’Italia «cade di nuovo nell’incertezza più totale», dato che un eventuale governo tecnico «non otterrebbe mai la maggioranza in un Parlamento dominato da M5S e Lega». L’unica soluzione rimane quindi un governo incaricato degli affari correnti fino alle prossime elezioni. Sarebbero quindi anche per Mattarella «finiti i tempi della moderazione», dato che «la crisi italiana è entrata in una nuova fase, questa volta di una gravità vertiginosa»; anche se la cosa, riconosce, ha offerto ai partiti euroscettici un motivo per dare credibilità all’idea di «un potere guidato da Berlino e da Bruxelles».

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