La crisi di governo e gli scenari futuri
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha respinto le dimissioni che giovedì sera il presidente del Consiglio Mario Draghi ha presentato al Colle. Crisi di governo rimandata di qualche giorno dunque: mercoledì prossimo Draghi parlerà alle Camere. Non è chiaro se confermerà le dimissioni o se chiederà una nuova fiducia. Il decreto Aiuti, provvedimento divisivo sul quale era stata posta la fiducia, è passato anche senza l’appoggio del Movimento 5 Stelle. Il decreto è stato approvato dal Senato con 172 favorevoli, 39 contrari e zero astenuti. Come previsto, i senatori pentastellati sono usciti dall’aula.
Gli scenari futuri
In Parlamento si capirà se la volontà di dimettersi del premier sia irremovibile. In caso contrario, toccherà ai partiti decidere se rinnovargli o meno la fiducia. Draghi potrebbe ottenere la fiducia con i 5S, scongiurando la crisi. Anche senza l’appoggio dei grillini, il governo potrebbe proseguire fino alla naturale scadenza della legislatura, ma questo scenario non è mai piaciuto al presidente del Consiglio. Draghi potrebbe anche comunicare le sue dimissioni irrevocabili e salire nuovamente al Quirinale. A quel punto Mattarella dovrà valutare se conferire un nuovo incarico o se sciogliere direttamente le Camere e andare a elezioni anticipate. A quel punto Mattarella darebbe l’incarico alla presidente del Senato Elisabetta Casellati e al presidente della Camera Roberto Fico di sondare con i partiti la possibilità di formare un nuovo governo.
Le reazioni politiche
L’annuncio delle dimissioni di Draghi ha fatto il giro del mondo. Una notizia ripresa da tutte le agenzie di stampa globali e apertura di stamane di alcuni dei più importanti quotidiani europei. Le reazioni politiche sono state immediate. Dalla parte di chi vuole provare a ricucire lo strappo emerge il segretario del Partito democratico Enrico Letta: «Ora bisogna lavorare affinchè il Parlamento confermi la fiducia e l’Italia esca il più rapidamente dal drammatico avvitamento nel quale sta entrando in queste ore». A questo appello si unisce anche il leader di Azione Matteo Richetti: «Costruiamo in Parlamento le condizioni per proseguire con il governo Draghi. In un momento come questo non possiamo rinunciare all’autorevolezza e alla credibilità del premier». Di tutt’altro parere la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni: «Niente scherzi. Questa legislatura è finita. Ridiamo la parola agli italiani, che hanno il diritto di scegliere da chi farsi governare». Idea condivisa dalla Lega di Matteo Salvini che in una nota fa sapere: «La Lega è stata leale, costruttiva e generosa per un anno e mezzo, ma da settimane il presidente Draghi e l’Italia erano vittime dei troppi NO dei 5S. Impensabile che l’Italia deve aver paura di restituire la parola agli italiani».
Il contesto
Il Movimento 5 Stelle ha innescato la frattura. Il partito è in crisi di consensi e di leadership da anni. Giuseppe Conte ha provato senza successo, almeno per il momento, a ridare centralità al partito riavvicinandolo ai principi delle origini. Una parte del partito sostiene che l’aver appoggiato la formazione del governo Draghi sia parte dei motivi legati alla perdita del consenso. Il fatto che le amministrative non siano andate benissimo hanno di fatto convinto Conte che la scelta di uscire dal governo fosse la migliore. Il più importante accadimento è stato l’uscita dal partito di Luigi Di Maio. La scissione è arrivata in Parlamento quando Conte sembrava voler votare contro l’impegno italiano a favore dell’Ucraina. Ma in quell’occasione le dichiarazioni non si sono tradotte alla fine in un voto contro il governo, ma hanno contribuito alla scelta di Di Maio di lasciare il Movimento. L’uscita dell’ala più governista ha allontanato ancora di più Conte da Draghi. Divisione che è andata ad aumentare per via delle rivelazioni del sociologo Domenico De Masi relativamente al fatto che Draghi avrebbe chiesto al garante dei cinque stelle Beppe Grillo la testa di Conte. Draghi ha però smentito di aver avanzato questa richiesta. La differenza di vedute sul dl Aiuti ha sancito la fine di un rapporto già precario. Il provvedimento stanzia 17 miliardi per mitigare il caro bollette, naturale conseguenza del nostro coinvolgimento nel conflitto ucraino. Ma ci sono novità che non hanno ricevuto il consenso dei contiani come il Superbonus 110% con l’esecutivo che non ha concesso nessuna nuova proroga ma ha consentito che le cessioni del credito amplino il perimetro e le modifiche al Reddito di cittadinanza per cui, d’ora in poi, dopo due no a offerte “congrue”, per mantenere il sussidio, si sarà costretti ad accettare. Il punto più divisivo è quello relativo al termovalorizzatore di Roma, per il quale Conte non si è detto disposto a scendere a compromessi.
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