La crisi didattica della matematica
In questi ultimi tempi, come segnalato da più parti, l’apprendimento della matematica costituisce un’emergenza educativa per la scuola italiana, come risulta dalle prestazioni scadenti della media degli studenti italiani nelle rilevazioni europee. La questione della matematica è solo la punta di un iceberg, perché è la disciplina più sensibile, richiede infatti maggior capacità di sintesi e di astrazione. Ma il decadimento cognitivo riguarda probabilmente tutte le discipline nell’area tecnico-scientifica. A metà dello scorso anno scolastico, ero stato preso da un senso di sconforto nel constatare come, nonostante il mio impegno, i risultati fossero piuttosto scarsi: una parte di studenti non studiava la materia, non faceva i compiti, trincerandosi dietro espressioni come non mi riesce. Emergeva insomma una specie di rifiuto nei confronti della disciplina. Ho cercato nuovi percorsi didattici, anche multimediali, ho dialogato con loro, provando a capire se effettivamente si trattasse di una presa di posizione contro la mia materia o contro di me. Ho potuto constatare che non era così. Anzi, alcuni di essi manifestavano palesemente il loro affetto. Cos’era allora che non andava? Forse era soltanto l’impostazione didattica ad essere errata o c’era di più? Eppure il programma era ridotto alle cose indispensabili per la terza. Eppure, nozioni su cui avevamo ribattuto, dopo un mese sembravano cancellate. Mi sentivo inerme e incapace di dare una risposta: era un limite che mi bloccava. E come uscirne? Nel libro del filosofo Giuseppe Zanghì sulla Notte della cultura europea, ho trovato alcune riflessioni corrispondenti alla mia esperienza: cioè comportamenti, dati sotto il profilo culturale che, nella loro implicazione didattica, coincidono con quelli osservati. Non si trattava, quindi, di rifiuto, ma di difficoltà collegate alla notte culturale. Il problema era nell’humus culturale in cui tutti noi ci troviamo a vivere. L’idea che la crisi della matematica sia legata alla crisi culturale non è così sorprendente, se pensiamo che da sempre la matematica esprime l’ambiente in cui si sviluppa: babilonesi, greci, arabi, indiani e cinesi hanno dato contributi poderosi alla disciplina proprio per la realtà culturale in cui operavano. L’insegnamento nella nostra scuola privilegia purtroppo la cultura matematica europea e non mostra la sua dimensione mondiale. Bisogna anche tener conto che la matematica è nata dalla risoluzione di problemi concreti, per sviluppare tempo dopo la parte astratta ad opera non tanto di singoli, quanto di circoli di studiosi come i pitagorici. Quindi è pericoloso tentare di risolvere il problema puramente sul piano didattico e in modo individuale, con nuove risorse tecnologiche. Come problema culturale esige un approccio sistemico nuovo, in cui l’aspetto relazionale sia più importante dei contenuti e degli obiettivi da raggiungere; e questo non è banale, soprattutto perché le attuali strutture collegiali non sono in grado di rispondere a questa esigenza; manca anche negli insegnanti la cultura della collegialità. Confrontando la mia esperienza didattica con elementi del libro, ho riscontrato singolari assonanze. Faccio degli esempi: i ragazzi cercano appena possono di giocare col telefonino o con il computer e trovano grosse difficoltà a porsi dei problemi, manca la ricerca del perché, la capacità di riflettere per trovare risposte e soluzioni. Mentre uno degli obiettivi qualificanti dell’insegnamento della matematica è proprio quello di porsi problemi e prospettarne soluzioni. Altre conseguenze osservate: la mancanza di approfondimento dei contenuti, la superficialità, il fenomeno della perdita cognitiva, cioè della sostituzione dei contenuti con quelli più recenti; il ragazzo vuole risolvere tutto e in fretta, se non vi riesce, non cerca altre strade, pianta lì e basta. Gli esercizi più difficili sono quelli guidati che comportano un atteggiamento di controllo costante della situazione, una riflessione sui passi precedenti e quindi bloccano le fughe in avanti. Inoltre, spesso gli alunni soffrono di una noia strutturale, non apprezzano, salvo pochi casi, le scoperte. Un episodio singolare che evidenzia il fenomeno del consumismo mediatico: durante un’attività di laboratorio, mentre stavo installando un programma, mi accorgo che alcuni allievi hanno aperto Messenger e stanno chattando on line, pur essendo tra loro a meno di mezzo metro di distanza!! Anche per questo è difficile realizzare attività di gruppo: sono incapaci di collaborare e dialogare; perciò è importante attivare metodologie didattiche come l’apprendimento cooperativo e magari lo sportello in rete, e consolidare modelli didattici come il problem solving. Un successo didattico: ho proposto un file in Powerpoint sulle equazioni di secondo grado con tanto di colonna musicale. In classe non volava una mosca o quasi; evidentemente i ragazzi vivono una dimensione comunicativa prevalentemente mediata e la didattica non può fare finta di nulla, anche se questo poi esige nuovi percorsi e nuove tipologie di attività e di verifica. Altro elemento, la rivolta verso i genitori: una ragazzina voleva andare male a scuola per punire il padre che aveva tradito la mamma; un’altra, la madre che non l’aveva mandata nella scuola da lei desiderata. È significativa la sincerità di questi ragazzi che non hanno paura a comunicare i loro sentimenti, quasi ad affrancare l’insegnante dalla loro indisponibilità allo studio; questo disagio nasce realmente da un abbandono affettivo. Di fronte a queste difficoltà, è necessario costruire con lo studente in difficoltà una relazione meno didattica e più familiare, perché in molti casi manca nei giovani la fiducia in sé stessi. Il recupero in alcuni casi è lungo. Ci vuole pazienza da parte di entrambi e lo studente è spronato dal fatto che l’insegnante valorizza ogni suo minimo progresso. Ho avuto una allieva traumatizzata dalla morte del padre che si bloccava nei compiti scritti: dedicandole del tempo durante gli intervalli e le pause, mettendo in luce ogni sua piccola conquista, lentamente ha acquisito sicurezza e alla fine del secondo anno aveva sette di media. In generale le possibili risposte possono avvenire su due piani: disciplinare e relazionale. Disciplinare: la matematica è spesso isolata dal contesto delle altre discipline non scientifiche. Mi chiedo perché si debba fare analisi logica solo su un testo letterario e non su un problema di geometria, o tradurre dall’inglese solo testi letterari, quando la maggior parte dei testi scientifici è in inglese. Questa è una provocazione per dire che bisogna sviluppare l’unità del sapere; inoltre è necessario affrontare questioni più vicine alla realtà, integrando tra loro i diversi modelli matematici: geometrico, numerico e grafico. Ma l’aspetto fondamentale è quello relazionale, dal momento che la crisi nasce dall’isolamento e dalla frammentazione. Bisogna allora dare nuovo significato alle realtà collegiali e coinvolgere di più i ragazzi nella progettazione e nell’analisi dei percorsi educativi; molto si gioca nelle relazioni tra docenti, nella condivisione dei metodi e soprattutto nell’allargare gli orizzonti oltre le singole discipline. La costruzione di una didattica nuova sta quindi nel recupero della categoria della reciprocità, per dilatarla all’intera comunità scolastica. E tu cosa ne pensi? L’autore di questo articolo insegna matematica in un istituto tecnico a Carrara e collabora alla formazione dei docenti per le nuove tecnologie. Con questo articolo, Città nuova vuole avviare una riflessione sulla didattica della matematica. Attendiamo il contributo di insegnanti e di studenti all’indirizzo segr.rivista@cittanuova.it