La crisi di Atene e l’incerto futuro dell’euro
Torniamo a parlare con il professor Leonardo Becchetti della situazione della Grecia. L’autorevole esponente dell’economia civile aveva esplicitamente fatto riferimento alla fraternità come criterio intelligente ed equo per uscire da una crisi che rischia a di trascinare nel baratro il sogno europeo dei suoi padri fondatori. L’ultimatum imposto sostanzialmente dai vertici tedeschi al governo greco non sembra, evidentemente, andare nella direzione della fiducia reciproca e fraterna. Anche come soluzione tecnica, secondo le insolite critiche del Fmi, appare una manovra recessiva impossibile da attuare. Becchetti, in suo editoriale su Avvenire, ha paragonato la situazione di Tsipras come quella di colui che, trovandosi in un palazzo in fiamme, non si getta dalla finestra (non esce cioè dall’euro) perché non conosce l’altezza in cui si trova e non sa se (il suo Paese) potrà rimanere in vita. Stefano Fassina, parlando da economista, è arrivato a dire che è proprio l'euro una camicia di forza che impedisce ogni politica sociale. Per l'ex esponente del Pd l'unica strada che resta realisticamente da compiere è «il superamento concordato, senza atti unilaterali, della moneta unica» come percorso difficile ma necessario.
Giuliano Ferrara, sul quotidiano Il Foglio, tratta tutti coloro che criticano il rigore teutonico come degli immaturi affetti dalla sindrome di Peter Pan. È, invece, ancora possibile percorrere una strada diversa?
«Nel novembre 2014 ho redatto, assieme ad alcuni colleghi, un appello sottoscritto da più di 350 economisti (tra i quali Prodi, Fitoussi ed altri) dove si concludeva dicendo che l’Unione europea era in mezzo al guado. Non si può restare nella moneta unica senza fare alcuni fondamentali passi avanti, pena il rischio di scivolare indietro. I passi avanti che chiedevamo erano quelli del quantitative easing (immissione di moneta nel sistema da parte della Banca centrale europea, conosciuta nel gergo come “bazooka di Draghi”, ndr ), di una politica fiscale europea espansiva, dell’armonizzazione fiscale con la chiusura dei paradisi fiscali interni all’Ue e della ristrutturazione del debito con l’adozione del piano Wyplosz (cessione da parte dei Paesi membri della quota di debito eccedente il 60 per cento del Pil alla Banca centrale europea, che lo trasforma in obbligazioni perpetue a tasso zero rimborsate dai proventi da signoraggio di ciascuno Stato).
E cosa è avvenuto invece?
«Dal tempo della nostra proposta l’unica cosa fatta è stato il quantitative easing e qualcosa sul fronte dell’armonizzazione fiscale. L’Ue, perciò, è ancora in bilico. La vicenda greca ci fa capire che è arrivato il momento di rilanciare quelle proposte insistendo soprattutto sulla ristrutturazione del debito».
Cosa pensa,invece, dell’analisi di Fassina che parla dell’euro come di un errore politico che ha finito per svuotare la democrazia? È possibile un’uscita concordata, non solo per la Grecia?
«È un’opzione da esplorare. Il problema è che al momento nello scaffale europeo sembrano essere disponibili solo le due opzioni dell’austerità o dell’uscita non concordata (come di fatto proposto alla Grecia) entrambe queste opzioni sono rovinose. Esplorarne altre è fondamentale. La mia proposta preferita resta quella esposta nell’appello, ma quella avanzata da Fassina vale la pena di essere approfondita. L’euro è un mezzo e non un fine e gli obiettivi di solidarietà, cooperazione, sviluppo e bene comune possono essere perseguiti con o senza la moneta unica».