La crisi del cinema
Non è possibile, è un incubo, ora mi sveglio e rivado al cinema, entro al primo spettacolo! E invece no, non sto sognando, è la desolante realtà. Il cinema sotto casa ha definitivamente chiuso, e pure quello all’angolo, e quello in piazza, e persino quello al centro dove andavo dopo una mostra o a shopping finito.
Quantifichiamo. A Roma hanno chiuso 69 sale cinematografiche rispetto a neanche 5 anni fa. Tagliando corto, in tutt’Italia in 20 anni sono spariti 2.000 cinema, ossia 100 l’anno! Com’è potuto accadere?
La generazione babyboomer, la mia, era cresciuta a pane e cinema. Dal neorealismo ai peplum, dal western ai film impegnati, da Hollywood alla Nouvelle Vague, alla 7a arte dovevamo, se non tutto, moltissimo sì.
Divertimento e cultura, educazione e informazione, buon impiego del tempo libero, amicizie e, perché no, conquiste amorose, magari seguite da nozze. Il tutto nel buio di infinite sale cinematografiche, di tantissime città, perfino all’estero. Che ora in gran parte non ci sono più. Convertite in sale bingo o supermercati, palestre o residence, centri congressi o condomìni. La vita continua, ma quanto più povera e noiosa!
La 17a Festa del Cinema, a Roma dal 13 al 23 ottobre, si ricorderà di tutto questo, per pensare dei rimedi, o farà come l’orchestrina del Titanic, continuando a celebrare i suoi miti e riti mentre la nave affonda?
D’altra parte è pur vero che il cinema è stato sempre in crisi. Dal ’54 si è chiamata televisione, cioè concorrenza, spettatori contesi, biglietto vs abbonamento Rai. La 10a musa si è difesa, ora prendendo in giro il video, ora mettendolo dentro i cinema per tenersi il pubblico, come ai tempi di Lascia o raddoppia.
Film e tubo catodico hanno convissuto bene fino al 2000. Quando è arrivata la crisi grossa, ossia il digitale, internet, i social, le piattaforme, il mondo gaming e via inorridendo (nell’ottica del cinema, ovvio, non si può essere contro la storia).
Il cinema si è visto circondato come fort Apache dai concorrenti. Per varie ragioni. Prima, quei media hanno abituato la gente, giovani inclusi, a consumare i “prodotti” restando a casa. Seconda, sono arrivate altre proposte visive, informative, ludiche ecc. Terza, il fondo del baratro! Le piattaforme hanno iniziato a mandare pure loro i film, non solo i “vecchi”, come faceva la tv (e il cinema pure per questo la sfotteva), ma anche quelli appena usciti o addirittura in anteprima! Ce n’era più che abbastanza perché le sale cinematografiche via via si spopolassero e alla fine chiudessero.
Gli indiziati hanno nome e cognome: Netflik, Prime Video, Disney+, Apple TV e gli altri giganti dello streaming. Oltre a Sky e alle pay tv con la loro debordante offerta di pellicole, spesso scadenti e con l’audio logorato dai troppi passaggi. Tutto ciò ha sottratto gli spettatori alle sale, decretandone il declino.
Ci ha perso la socialità. Vedere un film, andare-al-cinema significa(va) incontrare gli amici, commentare lo spettacolo assieme, muoversi, dialogare, vivere. Rintanarsi in casa, sullo straripetuto divano, tanto sfruttato pure dalla pubblicità (pop corn, pizze, merendine ecc. ecc.) non fa bene ai rapporti umani, alla maturazione e alla vita delle comunità.
Si obietterà che ci sono gli stadi e i concerti a controbilanciare, coi loro “tutto esaurito”. È vero, ma la scomparsa del cinema in sala segna comunque un impoverimento culturale che inquieta, intristisce e alla lunga degrada. Per non parlare del costo sul piano occupazionale (anche se le “mascherine” armate di torcetta dei nostri ricordi erano già sparite da un po’).
In effetti l’aspetto più emergenziale della crisi del cinema oggi è proprio questo, il venir meno della centralità della sala, e quindi la sua estinzione. Perché le produzioni ci sono, il lavoro quindi c’è, in Italia se non sbaglio si realizzano ancora tra i 150 e i 200 film l’anno.
La qualità, il livello non è più ottimale, e questo è di sicuro un altro aspetto della crisi. Gli attori in media sono bravi, registi di buon mestiere non mancano, forse sono gli sceneggiatori i più manchevoli al momento, e anche i produttori. I grandi produttori hanno dato gloria al cinema italiano e non, insieme a tutte le altre componenti, e oggi scarseggiano. Ci vogliono autori più ispirati e produttori più… simili ai Franco Cristaldi e ai Goffredo Lombardo del passato.
E i conti tornano perché la crisi oggi è sia morale, di idee, di valori, sia economico-finanziaria, e le cose miglioreranno quando queste fragilità saranno risolte.
Speriamo che (anche) di tutto questo si parli alla Festa del Cinema che inizia domani, magari in camera caritatis, ma fra responsabili qualificati.
Intanto, perché la Chiesa, che molto ha dato al cinema con le mitiche sale parrocchiali e con i benemeriti cineforum, non considera l’ipotesi di resuscitare le une e gli altri? Sarebbe un grosso contributo alla crisi del cinema e al ritorno alla centralità delle sale.
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