La crisi dei reality
Hany Farid vive nel New Hampshire e, come riferisce il New York Times, fa di mestiere il detective digitale. È cioè specializzato nello smascherare le immagini ritoccate, i trucchi del Photoshop, la finzione venduta per realtà. È un segno dei tempi. Nel Novecento la fotografia era sacra, la replica più affidabile del vero. Oggi l’immagine non restituisce più la realtà, ma un suo surrogato, una replica sbiadita che dell’originale ha solo un vago sapore. Come il parmesan cinese che del parmigiano è solo un clone truffaldino. Il fatto che la gente cominci a rendersene conto mi sembra sia alla base della crisi in atto del reality show, il genere che ha cambiato la televisione e interessato schiere di sociologi; ma che, dopo anni di bulimia di ascolti, sembra adesso aver imboccato la parabola discendente. Non solo da noi. Anche in Gran Bretagna e Olanda quest’estate sono stati chiusi due show-verità (Celebrity Big Brother e The Golden Kooi), fino all’altro ieri molto seguiti. È infatti ormai difficile vendere per vero quello che è palesemente falso. Il racconto della vita dei reclusi nel bunker del Grande Fratello o dei naufraghi sull’Isola dei famosi, è frutto di un copione, se non scritto, almeno implicito. Fin dalla scelta dei concorrenti, la sceneggiatura è bella e fatta e ciascuno sta poi al gioco, recitando la parte di commedia assegnatagli. La pupa non può che corteggiare il tenebroso, il rissoso litiga inevitabilmente con la petulante, il meridionale scansafatiche si becca con il milanese iperattivo, l’intellettale – guarda un po’ – finisce per discutere con il palestrato e innamorarsi della pacifista. Una soap opera teleguidata, quasi eterodiretta. Anche vedere il vip in difficoltà, scoprirlo debole, bruttarello come noi, senza trucco al mattino, non è più attraente per lo spettatore come lo era agli albori dell’età del reality show. L’empatia non c’è più, è routine, roba già vista, e nel- l’ultima Isola dei famosi accanto ai semi-conosciuti sono arrivati gli illustri signor nessuno. Senza contare che anche i vip, un tempo solo idolatrati, pagano ora, anche loro, il prezzo di una rabbia montante contro le caste dorate, il mondo chiuso di chi ha potere e fa la bella vita alle spalle della gente normale. A ben guardare, i reality sono tuttavia in crisi anche per altri motivi: a) Sono troppi: si è vicini alla saturazione, l’anno scorso di questi tempi ne andavano in onda cinque in contemporanea. b) Sono tutti uguali: i creatori di format non sanno più che inventarsi, hanno raschiato il fondo del barile e l’unica cosa che riescono a fare, quando le idee sono finite, è di spingere sulla trasgressione, superare un limite. Ormai gli abbiamo fatto fare di tutto, ha detto Giorgio Gori, produttore de L’isola dei famosi. c) Sono lunghi: Pietro Bassetti della Endemol, che ha ideato Il Grande Fratello, ha proposto di farli terminare tutti tassativamente alle 23.30 per fermare la fuga degli spettatori esausti. d) Sono vecchi: i giovani, target preferito dai pubblicitari, li snobbano rifugiandosi sul web. E quello che era rivoluzionario sette anni fa oggi è banale. È presto per dire se questa crisi sia la rivincita della normalità sulla popolarità, la vittoria del vero sul finto-reale. Potrebbe essere anche un fisiologico cambiamento dei gusti del pubblico. E d’altronde c’è chi, come il regista Ettore Scola, paragona il reality al nazismo perché come quello lascia macerie, e chi, come Paolo Martini nel recente saggio Reality shock (Aliberti), afferma che tanto il danno è fatto perché se il genere crolla in tv, trionfa largamente nella società. Da format tv, il reality sarebbe diventato uno stile di vita, cambiando il costume al punto che mettere in piazza il proprio privato sarebbe ormai una moda, una costante del vivere comune, indipendentemente dagli ascolti che fanno le trasmissioni tv che su quel principio si basano. Quali ne siano le ragioni, in ogni caso, il tramonto del genere Grande Fratello è una chance. C’è tutto un mondo che aspetta d’essere raccontato. Liberando i palinsesti dai troppi reality, potrebbe tornare di moda dar spazio alla vita. Quella vera