La corsa dell’economia

Tassare le operazioni speculative, ristabilire regole e verifiche, tenere sotto controllo l'inflazione.
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Nel film thriller Speed la conducente di un autobus pieno di gente era obbligata a mantenere la velocità qualunque ostacolo incontrasse, perché un terrorista aveva nascosto sul mezzo una bomba che sarebbe scoppiata appena avesse rallentato. L’autista, perciò, per guadagnare il tempo necessario a trovare una via di uscita e dovendo continuare a correre senza timori, aveva come primo obiettivo quello di trovare una strada sgombra da qualsiasi cosa.

Quel film è una metafora adatta alla presente situazione dell’economia, che corre oggi il rischio di essere bloccata e distrutta da finanzieri a cui era stato permesso sia di creare al di fuori del controllo delle banche centrali una “liquidità fantasma” di oltre 40 mila miliardi di dollari, che di coinvolgere risparmiatori e aziende di credito in operazioni speculative basate sul convincere ad indebitarsi anche persone che, quando il costo del denaro fosse cresciuto, non sarebbero poi state in grado di pagare i propri debiti.

Infatti quando il prezzo del petrolio ha provocato la crescita dei tassi di interesse, si sono moltiplicate le insolvenze ed il valore dei titoli legati a quelle operazioni è crollato: finito il credito facile, i magazzini delle aziende sono rimasti pieni di prodotti invenduti e le produzioni rallentate, facendo crescere la disoccupazione tanto più rapidamente laddove i posti di lavoro erano meno tutelati: ci si è così avvitati in una spirale recessiva che potrebbe innescare una lunga depressione.

 

Consolidare le banche

In questa situazione chi gestisce l’economia nazionale per prima cosa deve provvedere ad evitare che si inceppi il sistema, offrendo garanzie e soldi pubblici alle banche in difficoltà.

In Italia in effetti le banche sono state prudenti e hanno in carico pochi “titoli tossici”. Purtroppo non hanno usato altrettanta cautela acquisendo la proprietà di banche dell’Est, che invece si erano fatte incantare dalle sirene della finanza innovativa.

Lo Stato italiano ha messo a disposizione delle banche fondi per finanziare le piccole imprese, i cosiddetti “Tremonti Bond”, con l’intesa che, se esse non avessero poi modo di rimborsarli, questi si trasformerebbero in azioni, accrescendone la partecipazione pubblica: in Gran Bretagna e negli Usa le banche vicine al tracollo sono state in pratica nazionalizzate.

Nel G20 di Londra, i responsabili dei venti Paesi più industrializzati hanno auspicato l’eliminazione dei paradisi fiscali e ipotizzato istituti a cui affidare i “titoli tossici” al valore di acquisto, anziché a quello legato al presente rendimento, secondo il trattato europeo Basilea II: quando questi titoli dovranno essere rimborsati, toccherà farlo alla banca depositaria con gli utili nel frattempo realizzati, oppure allo Stato, nazionalizzandola.

 

Bloccare la speculazione

Mentre i governi hanno consolidato le banche in difficoltà – per ridurre le insolvenze ed incoraggiare i consumi –, le banche centrali hanno provveduto a ridurre il costo del denaro.

Adesso però, per evitare che il credito a basso costo finisca nuovamente nelle mani degli speculatori innescando una nuova bolla, occorre porre regole ed istituire un controllo internazionale sui cosiddetti hedge funds, ovvero i fondi speculativi. Non ci si può infatti illudere che la speculazione si sia fermata, anzi, essa continua ad imperversare indisturbata, traendo tramite essi profitto, come avvoltoi, dalle difficoltà altrui.

Occorre inoltre mettere sotto controllo l’immissione di nuovi titoli e rendere molto costoso gestire a rischio i soldi altrui, tassando ogni operazione speculativa tramite una variante della famosa Tobin Tax, che preveda una tassazione legata alla percentuale di indebitamento, la “leva finanziaria” su cui ogni operazione è basata.

A questo scopo ritorna valida la proposta di Umanità nuova al G8 di Genova nel 2001, di creare un “Fondo giovani del mondo” che accantoni una piccola percentuale delle transazioni speculative, da investire per due terzi in salute e formazione delle nuove generazioni e per un terzo in società multinazionali, per orientarle verso uno sviluppo sostenibile.

Naturalmente, perché quanto sopra funzioni, occorre eliminare i paradisi fiscali, convincendo i Paesi che li rendono possibili con la minaccia del blocco di ogni operazione finanziaria: basterebbe usare le procedure già adottate verso i Paesi soggetti a sanzioni.

 

Risalire la china

Sembra che la “droga” immessa nel sistema dai 40 mila miliardi di liquidità fantasma abbia prodotto perdite per 4 mila miliardi: come si usa il metadone per evitare crisi di astinenza, così, per far ripartire l’economia, queste perdite vanno sostituite con altro denaro. Gli Usa ed alcuni Stati europei ne hanno già immesso complessivamente oltre un terzo e probabilmente proseguiranno su questa strada, anche se così finiranno per favorire le banche e i manager che hanno creato il danno.

Se molto presto non si troverà modo di recuperare questa immissione di denaro pubblico, gli Stati dovranno emettere altri titoli, che i risparmiatori impauriti dalle quotazioni della borsa, dei fondi e del mattone, finiranno per acquistare: essi avranno tassi contenuti, che però incideranno sui bilanci statali, comprimendo le spese per la scuola, la salute, la ricerca, gli ammortizzatori sociali, l’ordine pubblico, le infrastrutture e la cooperazione internazionale.

Non si può infatti ormai creare ricchezza dal nulla: stampando denaro si applica la più ingiusta delle tasse, l’inflazione, che pesa su chi deve spendere tutto quanto guadagna e vede ridurre il valore del suo stipendio o della sua pensione. Spetterà alla politica scegliere come recuperare queste risorse, per evitare maggiori differenze tra ricchi e poveri e la trasformazione dei poveri in miseri.
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