La corruzione e i suoi nemici
La corruzione è “anticultura senza respiro”. È corruzione dell’umano. E, come afferma papa Francesco, la corruzione «spuzza!».
Su questo tema si sono confrontati in un intenso e interessante incontro presso il Centro Mariapoli di Castel Gandolfo, 80 funzionari pubblici provenienti da diverse amministrazioni pubbliche italiane con significative presenze straniere: dal Panamà, Colombia, Germania, Spagna, Portogallo, Camerun e Burundi.
La realizzazione di questo evento era tra i desideri fortemente voluti da Gianni Caso, magistrato di luminosa esperienza professionale e testimone infaticabile di fraternità nell’applicazione del diritto.
La sorprendente verità emersa dalle numerose testimonianze è tutta racchiusa in una espressione molto semplice ma dirompente nella sua concreta applicazione: la normalità è rivoluzionaria.
Nelle loro testimonianze, molti funzionari hanno sottolineato che un comportamento amministrativo “normale”, vissuto come servizio e non come gestione di potere, ha contrastato con efficacia l’anticultura della corruzione che pure è attiva e corrode i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini e tra pubblico impiegato e potere politico.
C’è da dire che l’anticultura della corruzione prospera là dove dilaga l’indifferenza e dove i rapporti tra le persone sono marcati dalla prepotenza del denaro che strumentalizza le relazioni tra persone calpestandone dignità e diritti.
Far sentire come prevalente l’amore per il bene comune nelle relazioni tra Pubblica amministrazione e fornitori, tra pubblico impiegato e cittadino, tra colleghi dello stesso ufficio o di altre amministrazioni, sgombra il campo da quegli interessi particolaristici capaci di offuscare e rendere viziata e non trasparente l’attività che la pubblica amministrazione deve rendere a tutta la società.
Far bene piccole cose, secondo il grado di responsabilità affidata ad ogni pubblico funzionario, significa dare concretezza all’affermazione di Turkson:
«I sistemi cambiano a partire dal cuore delle persone».
Facendo proprie le parole di papa Francesco, il convegno ha sottolineato che è necessario «vivere la vocazione di servire», praticando contro l’ingordigia del denaro e del potere, quell’austerità che si fa testimonianza proprio nel servizio a ogni altro, alla famiglia, al quartiere, alla comunità, all’umanità.
Le testimonianze concrete, condivise nel convegno, hanno posto l’accento sul far sentire la città come ben comune e non come terreno di conquista predatoria, nell’attivare relazioni tra persone ispirate a fiducia e dialogo, nel superare i conflitti e le gelosie di ufficio. Certamente la corruzione non può essere vinta con il semplice sforzo individuale. È necessario stabilire collegamenti nel bene che, a partire dall’impegno individuale, testimonino che l’anticultura della corruzione può essere messa in seria difficoltà, se non neutralizzata, dal buon funzionamento del servizio pubblico.
I numerosi esempi, portati nelle testimonianze e nei racconti dei convegnisti , hanno evidenziato che non è facile essere “normali” impiegati pubblici perché si devono contrastare prassi e abitudini consolidate. E spesso, infatti, molti manifestano sorpresa e stupore di fronte a comportamenti che antepongono l’interesse per il bene pubblico al tornaconto individuale o di bottega.
Tuttavia, il fatto di presentarsi come portatori di interesse per il bene comune, in più occasioni, ha indotto i fornitori a più eque e oneste richieste. A questo si arriva attraverso impegnativi confronti necessari per individuare con obiettività diritti e doveri, difficoltà e inadempienze, giuste richieste e improprie aspettative. Lavoro duro e defaticante ma dal quale deriva reciproca soddisfazione e gratificazione perché si è reso possibile un buon servizio al bene comune.
La ricerca del bene comune, individuato da molti oggi come “bene di nessuno” e quindi oggetto di costanti e pervicaci azioni predatorie nella certezza dell’impunità, deve essere il faro che guida la navigazione nel mare inquieto del pubblico impiego. Una modalità di azione diversa dal comune andazzo è possibile. È stato testimoniato con semplicità ed efficacia anche se accompagnato spesso da grande sofferenza personale.
Da tutti i partecipanti al convegno però è emersa un’esigenza: occorre far conoscere e comunicare i buoni esempi di comportamento, le buone esperienze realizzate per far crescere il network del bene facendo nostri gli auspici di papa Francesco: «Noi, cristiani e non cristiani, siamo fiocchi di neve, ma se ci uniamo possiamo diventare una valanga; un movimento forte e costruttivo. Ecco il nuovo umanesimo […], ci vuole cooperazione da parte di tutti secondo le proprie possibilità, i propri talenti, la propria creatività».