La corruzione ruba il futuro
La corruzione è una delle piaghe più purulente delle società moderne: danneggia i cittadini, aggrava i bilanci dello Stato, riduce la spesa sociale e offusca il futuro della collettività. Tra i settori più colpiti, secondo l’associazione Transparency international, che ha elaborato i casi riportati dai media nel 2018, ci sono la Pubblica amministrazione, gli appalti, la politica, la sanità.
La mappa internazionale della corruzione percepita vede brillare per onestà Paesi dalla salda tradizione democratica, mentre restano in coda quelli dilaniati dalle guerre, con grandi risorse naturali, pochi ricchissimi detentori del potere e alti indici di povertà. I dati confermano le parole del filosofo Vittorio Alberti, autore del libro Pane sporco: «La corruzione trionfa dove non ci sono libertà e giustizia». O dove il senso di legalità appare offuscato. Come in Italia, dove sono indagati partiti politici, imprenditori, militari, dirigenti sanitari, amministrativi, sportivi… Il giro di mazzette va dai 25 euro che un impiegato chiedeva per aggiustare le pratiche fiscali ai rincari del 300% per apparecchiature ospedaliere, fino agli ultimi casi eclatanti che hanno interessato la Capitale. Complessivamente, invece, il costo della corruzione nella sanità supererebbe i 23 miliardi di euro annui (dati Ispe) tra fatti corruttivi, inefficienze e sprechi nella spesa pubblica.
Secondo l’Istat, nel 2017 il 7,9% delle famiglie italiane è stato coinvolto direttamente in fatti corruttivi. Mazzette sono state chieste per sussidi, alloggi popolari, pensioni (2,7% dei nuclei familiari) o per visite mediche, ricoveri, interventi (2,4%). Più di un milione e 700 mila italiani hanno ricevuto offerte di denaro o favori in cambio del voto alle elezioni amministrative, politiche ed europee, mentre il 5,2% dei lavoratori ha assistito a scambi di favori o di denaro. I dati sono però sottostimati, perché il flusso di denaro è ininterrotto, spesso proviene da organizzazioni mafiose ed è difficile da scoprire, perché corruttori e corrotti hanno interesse a nascondere i reati commessi. Contro di loro, per il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, deve agire la politica, che deve imporre uno «stop alla corruzione, chi denuncia deve essere difeso, la mafia va annientata».
Perché la corruzione può essere davvero frenata e una prova viene dai buoni risultati ottenuti con le nuove norme anticorruzione: dal piano nazionale all’inasprimento delle pene, dall’obbligo della trasparenza amministrativa alla tutela del whistle blower o “segnalante”, un qualunque dipendente pubblico che, venendo a conoscenza di un illecito, lo denunci. Contro la corruzione serve il contributo di ciascuno: dall’assessore che rifiuta le mazzette al calciatore N’Golo Kante, che ha detto no all’evasione fiscale, a Xu e Karawe, due quattordicenni della Cina e dello Sri Lanka, che hanno restituito il portafogli con l’intera pensione all’anziano che lo aveva perso. Ma serve anche un’azione sinergica, che metta insieme le forze positive della società, come fa l’Istituto per la promozione dell’etica in sanità (Ispi), che ha varato il decalogo per promuovere «una gestione integra, trasparente ed efficace dei servizi sanitari». Come l’associazione Libera, che col progetto Liberaidee ha avviato un viaggio contro mafie e corruzione con oltre 200 tappe in Italia e in Europa. Come il “patto per la città” promosso da Umanità Nuova, Associazione Città per la fraternità e New Humanity, che dal 17 al 20 gennaio verrà proposto a Castel Gandolfo, a politici, imprenditori, studenti e cittadini nel corso del convegno internazionale “Co-Governance: corresponsabilità nelle città oggi”.
La corruzione, ha detto papa Francesco, minacciando finanche la scomunica per i corrotti, è una bestemmia, la peggiore piaga sociale, una scelta satanica, un processo di morte. È come un cancro, che logora le nostre vite e va combattuto insieme, «persone di tutte le fedi e non credenti», perché «siamo fiocchi di neve, ma se ci uniamo possiamo diventare una valanga».
«I CITTADINI PROTAGONISTI CONTRO LA CORRUZIONE»
Intervista a Raffaele Cantone, presidente dell’Anac
55 anni, originario della Terra dei fuochi, già magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Raffaele Cantone ci accoglie nel suo ufficio al centro di Roma. Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) è cordiale, ma schivo. Incrociamo il suo sguardo, sincero e caloroso, solo quando parla del papa, del suo essere credente, dei temi che lo fanno svicolare per un attimo dal rigido comportamento evidentemente adottato per tenere saldo il suo ruolo di funzionario incorruttibile, mostrando la sua umanità.
Presidente, perché la corruzione è un fenomeno grave?
La corruzione è grave perché ha una serie di effetti indiretti che spesso si fa perfino fatica a capire: ha un effetto depressivo sull’economia, sullo sviluppo, sulla ricerca…. È assolutamente uno dei problemi principali delle società moderne. L’istituzione dell’Anac non deriva soltanto dalla gravità della situazione, ma da un impegno che l’Italia ha preso con la convenzione Onu di Merida del 2003, che dimostra come la corruzione sia un problema di rilevanza internazionale. Il danno da corruzione più difficile da quantificare è quello indiretto: mette in discussione la concorrenza, la qualità delle attività, la capacità di ricerca di un’entità, soprattutto del mondo imprenditoriale. Uno studio della Banca mondiale dice che operare in un sistema burocraticamente corretto consente all’impresa di ottenere un vantaggio del 25%. Enorme.
Una voce che tuona contro la corruzione è quella di papa Francesco. È un buon “alleato”?
È un grandissimo alleato. La corruzione a cui fa riferimento papa Francesco è quella del cor ruptum, cioè propria di un soggetto che ha infranto le regole minime, quindi un concetto molto più ampio della nostra idea di chi prende le mazzette. È un soggetto che mette in discussione i valori del vivere civile. La Chiesa, al di là di essere un luogo fondamentale per i credenti, e io mi annovero tra questi, è anche un’agenzia educativa. Come tale, le parole di papa Francesco possono essere particolarmente utili. Sono convinto che parli tanto di corruzione perché viene da una realtà in cui essa ha giocato tanto in negativo, per esempio per il sottosviluppo dell’America del Sud. Il papa si rende conto che il meccanismo corruttivo rischia di mettere in discussione una delle parole più forti del Vangelo: la tutela degli umili. La corruzione consente ai ricchi di essere più ricchi e ai poveri di essere più poveri.
Ha detto che è credente. Come dovrebbe comportarsi un cristiano?
C’è un’incompatibilità clamorosa tra Vangelo e corruzione. Gesù diceva: «Fuori i mercanti dal tempio» e aveva una grande attenzione rispetto alle regole ordinarie del vivere civile: cioè «dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». C’era il riconoscimento e l’importanza dei beni e degli interessi pubblici. Molto spesso c’è una sottovalutazione culturale che si accompagna all’idea che la corruzione sia un fatto non grave, perché si dice che non fa male a nessuno, mentre danneggia lo Stato, ovviamente. Questo meccanismo è stato sottovalutato anche nell’etica concreta cristiana, che ha portato a considerare la corruzione un peccato, ma non tra i più gravi. Papa Francesco adesso dice una cosa che può apparire persino paradossale: «Il peccato si può perdonare, la corruzione no». Mettendo non solo la corruzione alla pari con il peccato, ma con peccati talmente gravi, che non può essere nemmeno perdonata.
La corruzione è difficile da scoprire, perciò occorre puntare sulla prevenzione…
La prevenzione parte dall’idea che si debba lavorare all’interno dell’amministrazione non con la logica del solo controllo, ma con la valorizzazione delle energie migliori esistenti. Se rendo trasparenti le mie azioni, creo un meccanismo di colloquio con i cittadini che consente loro di controllarci. Se lei ci pensa, in una democrazia chi sono i veri “proprietari” del sistema democratico? I cittadini. Con la trasparenza si restituisce ai cittadini un ruolo attivo teorico che può diventare pratico: quello di controllo.
Nelle classifiche internazionali l’Italia figura in bassa posizione. I cittadini percepiscono un alto livello di corruzione e questo significa sfiducia nello Stato…
Mi faccia premettere un dato: le classifiche a cui si riferisce sono quelle di Transparency International che vedono l’Italia migliorare. Nei primi 3 anni di esistenza dell’Anac, il Paese ha recuperato 15 posizioni ed è un segnale molto positivo. Lei ha ragione però nel dire che quelle classifiche sono significative: c’è una sfiducia che i cittadini manifestano nei confronti delle istituzioni. Sfiducia che può dar luogo a fenomeni corruttivi. Io credo che gli strumenti di prevenzione della corruzione possano migliorare la fiducia: la trasparenza può consentire al cittadino di sapere cosa fa l’amministrazione. E a volte un cittadino informato ha un’immagine dell’amministrazione migliore di quella che si attendeva perché sa una serie di cose che si fanno, di cui probabilmente non sarebbe stato mai a conoscenza.
Che rapporto c’è oggi tra mafie e corruzione?
Le mafie hanno sempre utilizzato la corruzione. La novità è soprattutto nell’utilizzo dei sistemi corruttivi in luoghi esterni rispetto a quelli in cui le organizzazioni operano. Oggi le mafie sono portate, soprattutto al Centro-Nord, ad utilizzare la corruzione più che l’intimidazione come strumento per intervenire nelle attività economiche e politiche, perché la corruzione fa molto meno rumore dell’intimidazione e ha il vantaggio di non essere in alcun modo visibile.
Presidente, si sente mai solo?
Io credo che ci siano tantissime persone interessate a questa battaglia che è soprattutto culturale, che ha bisogno che il cittadino si renda conto del rischio, del danno della corruzione. Facciamo ancora molta fatica a far capire al cittadino comune che la corruzione non è un problema dei potenti. I veri danneggiati sono spesso coloro che ne sono estranei. Mi capita di dirlo nelle scuole ai ragazzi, che spesso sono i più danneggiati perché la corruzione blocca il sistema, blocca il loro futuro.
Di quali strumenti dispongono gli amministratori per contrastare la corruzione?
Gli amministratori gli strumenti li hanno. Bisogna avere la capacità di saperli utilizzare. Nel piano di prevenzione della corruzione si dice agli amministratori: «Fate la vostra parte, non aspettate sempre qualcun altro», e questo è un salto di qualità rilevantissimo.
Quale può essere il contributo di ogni cittadino?
C’è chi non comprende che le risorse statali e i beni pubblici appartengono a tutti, quindi chi se ne appropria ci fa un danno diretto. Il cittadino che non chiude gli occhi e rispetta le regole è dunque il vero alfiere contro la corruzione.
Corruzione, sintomo della crisi democratica
DON LUIGI CIOTTI, Presidente dell’associazione Libera
Don Ciotti, lei parla di corruzione come di una minaccia per il sistema democratico. In che senso?
Nel senso che la corruzione è un furto diffuso, si può ormai dire generalizzato, di bene comune, e una democrazia si regge solo se difende, promuove e alimenta il bene comune. Per questo sono necessarie leggi e misure repressive, ma prima ancora politiche, che sappiano distribuire il reddito, ridurre le disuguaglianze, garantire i diritti fondamentali: il lavoro, la casa, l’istruzione, le cure sanitarie. E, altrettanto essenziali, percorsi educativi che risveglino nei cuori e nelle coscienze delle persone e dei giovani in particolare, la passione e la responsabilità per il bene comune. La corruzione è una piaga generata da vuoti al tempo stesso etici, politici e culturali. Perciò è il sintomo più evidente e allarmante della crisi di una democrazia.
Le mafie fanno affari corrompendo. Cosa serve per contrastarle?
Una nuova consapevolezza sulla questione mafiosa. Tanti sono rimasti nell’analisi a 26 anni fa, alle stragi di Capaci e via d’Amelio, ma altrettanti ritengono che le mafie non rappresentino più un problema, come dimostrano tra l’altro i risultati di una ricerca di Libera sulla percezione del fenomeno. Nuova consapevolezza significa, allora, capire non solo che le mafie continuano a esistere anche se ricorrono alla violenza diretta solo in casi estremi e contesti particolari – come le zone di Napoli e Foggia –, ma che una mafia corruttrice, mimetica, in “guanti bianchi”, inquina e corrode dal di dentro il tessuto economico e sociale, rubando opportunità di vita a tutti noi. Più che mai oggi la forza delle mafie sta soprattutto fuori dalle mafie: nei fiancheggiatori e nei complici, ovviamente, ma anche in chi minimizza, sottovaluta, ignora.
Con il progetto Liberaidee vi siete messi in viaggio contro mafie e corruzione. Perché questa iniziativa regione per regione, che proseguirà anche all’estero?
Perché appunto occorre una forte e nuova consapevolezza sulla corruzione e sulle mafie, occorre sottolineare che, vittime delle mafie, non sono solo le persone uccise ma anche i “morti vivi”, le persone a cui le mafie tolgono dignità e libertà. E perché per stimolare un cambiamento sociale non bastano le denunce e le mobilitazioni estemporanee, ci vuole un impegno capillare, articolato, ostinato.
Lei invita gli studenti a «tenere occhi aperti e coscienze sveglie» perché il cambiamento può partire da noi. In che modo il cittadino può essere protagonista del rinnovamento sociale?
Facendo proprio lo spirito della Costituzione, che per un credente integra quello del Vangelo. La Costituzione insegna che la democrazia non è un “dato”, ma un bene sempre da costruire, perfezionare, custodire. Allora non basta la legalità – parola di cui si abusa e che per alcuni è diventata un idolo o uno strumento di potere –, basta vedere alcune leggi sull’immigrazione. Occorre la responsabilità. La responsabilità è l’essenza della cittadinanza e la spina dorsale di una società davvero democratica.