La “contesa” sulla Famiglia

La famiglia sta diventando davvero un’emergenza sociale? Già in campagna elettorale veniva tirata da tutte le parti e ora, a governo installato, è nell’occhio del ciclone per alcune proposte giuridiche. Il papa non perde occasione per parlarne, e questo ne rivela la preoccupazione. Ma ad allarmare sono i numeri. È di questi giorni la notizia Istat sullo stato delle famiglie italiane: 2,6 milioni di esse sono sotto la soglia di povertà e 1,5 milioni in condizioni di disagio economico con un reddito inferiore ai 700 euro al mese. Una situazione che si fa ancora più drammatica nel meridione dove una famiglia su quattro è a livello di indigenza. A volte sembra che, invece di politiche serie che aiutino chi si impegna a crescere dei figli (cioè quei nuovi cittadini che tanto scarseggiano), si perda tempo in discussioni da salotto televisivo, dove a volte si usa la famiglia per una contesa ideologica che con la famiglia c’entra poco. Questa specie di dicotomia tra ciò che la famiglia è (prima cellula del corpo sociale) e la sua più abusata immagine virtuale (un luogo di intime e private relazioni) richiede una nuova riflessione, anche per capire quali sono le vere urgenze sociali. Parliamo ad esempio di Pacs, il “patto civile di solidarietà” inventato in Francia per i conviventi non sposati e presentato come uno sviluppo dei diritti civili.Ma è vero? Dei conviventi che non vogliono sposarsi per non istituzionalizzarsi, è opportuno che le istituzioni se ne occupino, violando la loro scelta? Vorrebbero alcuni diritti degli sposati senza assumersene i doveri? E per le coppie che non possono sposarsi per motivi legali (attesa di divorzio, minore età, ecc.) o economici, la risposta è davvero “il piccolo matrimonio” (come è stato definito il Pacs) che non risolve alcuna delle difficoltà in questione? O forse il Pacs è proposto per aprire la strada ai matrimoni omosessuali? C’è davvero bisogno di alterare quella struttura eterosessuale che appartiene a tutte le culture e a tutta la storia fino ad oggi conosciuta? Non è forse vero che i riconoscimenti economici e assistenziali sono ottenibili già attraverso il diritto esistente? Se occorre un riconoscimento anche simbolico del loro rapporto, è la via giuridica quella giusta? Come si vede, gli interrogativi sono infiniti. Non è facile oggi avere idee condivise sulla famiglia, quel bene umano dove prende vita il bene comune che la società intera tende a realizzare. Ce n’eravamo accorti già durante la campagna elettorale, dove risuonavano (da tutti gli schieramenti) espressioni poco intonate, in cui le famiglie non si riconoscevano. Forse qualcuno di noi ha sentito, nelle discussioni televisive o sui giornali, raccontare storie di normale eroismo quotidiano famigliare, come quelle che troviamo spesso nelle pagine di questo periodico? Ha sentito per caso dibattere di valori forti, di impegno sociale, di economia condivisa, di coraggio procreativo e formativo, di azioni solidali, di «coppie che si sporcano le mani coi problemi della gente»? Si è parlato invece della famiglia «difesa dei princìpi», «custode della tradizione», «conservatrice dell’identità nazionale», «baluardo della moralità», parole che danno dell’istituto famigliare un’immagine di “frigorifero sociale” che non le appartiene. La famiglia che sogniamo e che stiamo provando a vivere non è un congelatore che conserva alcunché, ma è proprio l’opposto, è semplicemente un “fuoco che sempre brucia”, e così facendo produce calore, luce, energia, valori sempre rinnovati per tutta la società. Certo, a viverla così, non è una vocazione comoda, ma è l’unico modo per trasformare una storia d’amore in evento sociale. L’aveva anticipato Mounier scrivendo: «Il privato vissuto intensamente diventa pubblico».

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