La contesa del gas nel Mediterraneo

C’è tanta ricchezza sotto le acque del Mare Nostrum. E c’è tanta conflittualità al di sopra di esse, per possibili contratti miliardari di forniture di gas e altre risorse energetiche all’Europa

Si è parlato del conflitto libico, negli ultimi anni, come se fosse una guerra civile fra Tripoli e Bengasi, quasi una disputa personale tra Fayez al-Sarraj, presidente del governo di Accordo Nazionale (Gna) internazionalmente riconosciuto, e Khalifa Haftar, fino a pochi mesi fa l’uomo forte della Camera dei rappresentanti di Tobruk, a capo del Lna, l’esercito nazionale libico. Comunque di una guerra fra libici appoggiata dall’esterno. C’è ovviamente molto di più.

Non è un mistero che a sostegno di Haftar siano coinvolti Egitto ed Emirati, e in qualche modo Russia e Francia. E accanto ad al-Sarraj ci siano Turchia e Qatar, i cui governi sono favorevoli ai Fratelli musulmani come quello dello Gna (Government of National Accord) libico. Ed è anche evidente che non si è mai trattato di uno scontro solamente ideologico, ma anche di una lotta per il controllo delle risorse petrolifere.

L’ulteriore evoluzione del conflitto è avvenuta all’inizio di quest’anno con un ampliamento che si sta trasformando sempre di più in una pericolosa contesa per il controllo delle forniture di gas naturale. Gas da vendere all’Europa, che dipende dall’estero per oltre il 50% del suo fabbisogno energetico.

Negli ultimi cinque anni, di gas se n’è trovato in abbondanza nel Mediterraneo orientale, e sono stati realizzati importanti pozzi offshore nelle Zone economiche esclusive (Zee) di pertinenza dell’Egitto e di Israele. Altri consistenti giacimenti si stanno scoprendo lungo le coste meridionali di Cipro (che fa parte dell’Ue) e del Libano. La delimitazione di una Zee è regolata da un trattato internazionale, in vigore dal 1994, che si chiama Unclos (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare), al quale aderiscono attualmente 164 dei 196 Paesi del mondo riconosciuti dalle Nu.

Il 2 gennaio 2020 è stato sottoscritto ad Atene un accordo fra Israele, Grecia e Cipro per la costruzione di un gasdotto (del costo di circa 6 miliardi di dollari), in gran parte sottomarino, per trasportare gas naturale dai giacimenti israeliani Tamar e Leviathan fino alle coste greche dell’Adriatico, con la possibilità di collegarsi alla rete italiana e quindi a quella europea. Il progetto si chiama EastMed, e prevede la costruzione di un gasdotto di quasi 2 mila chilometri in grado di trasportare almeno 12 miliardi di metri cubi di gas all’anno, coprendo il 10% circa del fabbisogno europeo. Il percorso del nuovo gasdotto passa per Cipro, Creta e per il Peloponneso, e taglia quindi fuori la Turchia, che fra il resto non aderisce alla convenzione Unclos a causa della questione cipriota (la repubblica turco-cipriota è riconosciuta solo dalla Turchia).

L’opzione di far passare EastMed attraverso la Turchia sarebbe stata effettivamente meno costosa e complessa, ma il percorso avrebbe toccato in questo caso anche le acque libanesi e siriane, opzione esclusa dagli israeliani a causa delle ostilità con questi Paesi.

Per evitare l’emarginazione dalle grandi direttrici di distribuzione del gas, la reazione turca è stata molteplice: da un lato l’accordo con la Russia, sottoscritto l’8 gennaio 2020, per la costruzione del gasdotto Turkishstream, che attraverso il Mar Nero e la Turchia raggiungerà direttamente i Paesi dell’Est Europa aderenti all’Ue, fino all’Austria, per trasportare gas di provenienza russa.

Un’altra reazione turca al progetto EastMed è stata la rivendicazione di 24 siti di perforazione alla ricerca di giacimenti di gas e la dichiarazione unilaterale di una Zee turca, non inserita nel trattato Unclos al quale la Turchia non ha mai aderito ufficialmente.

La terza istanza turca, che era nell’aria da tempo, ha portato all’accordo fra la Turchia e il governo di Tripoli, siglato fin da novembre 2019, per definire un corridoio che metta in contatto la Zee libica con quella turca. Accordo transmediterraneo respinto, com’era prevedibile, da Grecia e Cipro per violazione delle proprie Zee in base al diritto internazionale.

L’incremento del sostegno militare turco (armi e miliziani siriani filo-turchi) al governo di Tripoli, previsto dallo stesso accordo di novembre 2019, ha consentito poi, com’è noto, la rapida avanzata delle milizie aderenti al Gna di al-Sarraj costringendo alla ritirata le truppe di Haftar, ormai in difficoltà con la Camera dei rappresentanti di Tobruk e con i Paesi che l’hanno sostenuto.

La diplomazia dell’Ue, intanto, è divisa fra chi considera la Turchia (membro della Nato) un partner con cui trattare e chi invece, come la Francia, considera Ankara un pericoloso rivale.

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