La consegna di Verona
Acosa servono i megaconvegni? . La domanda è aleggiata sopra gli ampi padiglioni della Fiera di Verona, dove si sono tenuti, dal 16 al 20 ottobre, gli stati generali della Chiesa cattolica italiana sul tema Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo.Ma il quesito ha punzecchiato tutta la fase preparatoria del grande appuntamento. Utili questi mega-convegni?, hanno rilanciato gli osservatori della sinistra laica, che parlavano di gigantismo celebrativo. Il dubbio ha attanagliato pure qualche intellettuale cattolico, che disdegna siffatte formule e il relativo profluvio di testi. Tanto convenire per nulla?, allora. Nell’ultimo periodo, sono affiorate perplessità circa la validità dell’impostazione del convegno e sull’effettivo recepimento dei contributi delle 226 diocesi e di gruppi e organismi ecclesiali in risposta alla Traccia di riflessione predisposta dal Comitato preparatorio. Non mancavano, comunque, novità metodologiche. La più significativa riguardava il mutato approccio della riflessione. Abbandonate le tradizionali impostazioni da cui tutto leggere – catechesi, liturgia, missione, carità -, sono stati adottati cinque ambiti a partire dalla vita delle persone: affettività, lavoro e festa, fragilità umana, trasmissione della fede e comunicazione, cittadinanza. Un giorno e mezzo del convegno sarebbe stato dedicato al lavoro nei gruppi di studio. Ma – si chiedevano non pochi delegati nell’imminenza del viaggio a Verona -, sarà un confronto vero e aperto? le sintesi dei gruppi di studio rispecchieranno ricchezza e varietà dei contributi? Un simile timore era, per di più, avvalorato dalle certezze di taluni monsignori altolocati, a detta dei quali il solco sarebbe stato tracciato dal Papa, mentre il card.Ruini avrebbe dettato le linee attuative. E tutto il resto? Un gradevole contorno. Una scossa a interrogativi e supposizioni è arrivata da due episodi accaduti significativamente in prossimità del convegno: la morte repentina di mons. Cataldo Naro, 55 anni, colto e aperto arcivescovo di Monreale, uno degli ispiratori dell’appuntamento di Verona; e l’improvviso malore di mons. Giuseppe Betori, segretario della Cei (a cui auguriamo piena ripresa), su cui gravava lo svolgimento dell’assise. È sembrato che il Cielo avesse chiesto in anticipo due robuste rate per il buon esito dei lavori. Verità scomode Le analisi non sono state indulgenti nemmeno nelle relazioni introduttive. Gracilità della fede dei credenti, stanchezza per una generosità affannata, frustrazioni, chiusura delle comunità in sé stesse, hanno segnato i passaggi d’apertura di Paola Bignardi, coordinatrice di Retinopera. Su una fede parolaia ha posto l’accento il teologo Franco Giulio Brambilla, avvertendo che ci domanderanno se a Verona abbiamo solo discusso sugli uomini e le donne di oggi o se ci siamo appassionati alla loro vita reale. Un applauso convinto se l’è preso quando ha messo in guardia i credenti laici dal pericolo della burocrazia ecclesiastica. Delle donne ha parlato Savino Pezzotta, già segretario della Cisl: Possono dare un contributo importante alla cultura della speranza, ma bisogna vincere le resistenze che si oppongono ad un pieno riconoscimento della parità anche nella Chiesa. Ai nostalgici del partito cattolico ha precisato che l’unità dei cristiani non si realizza in politica, ma nell’essere Chiesa, in profonda comunione con la comunità cristiana. Delegati autentici Protagonisti di tutto rispetto sono stati i delegati. Tutt’altro che rappresentanti di sé stessi, hanno espresso a Verona il cammino compiuto e la riflessione maturata coralmente nelle chiese locali. Hanno dato prova di essere artefici di un processo di trasformazione, magari lento, della vita ecclesiale ma giocato sulla comunione fraterna e sulla testimonianza quotidiana. C’è chi auspica una maggiore presenza diretta del cristiano nella società e chi invece predilige la testimonianza meno appariscente o un certo nascondimento, fiducioso nei tempi lunghi e nella formazione delle coscienze. Ma non si tratta di fronti contrapposti, bensì di posizioni chiamate a convivere e, come si vedeva, a integrarsi con serenità. Dei delegati ha speso parole inusuali anche il quotidiano la Repubblica, solitamente critico verso il mondo cattolico. Vale la pena citarlo: Sta emergendo una nuova classe dirigente di cattolici impegnati nelle parrocchie e nelle associazioni – svegli, appassionati, attenti alla cultura, amanti del concreto -, che vuole trovare un suo posto nella società e nell’istituzione ecclesiastica. I rappresentanti costituivano uno spaccato della Chiesa italiana. Anche in termini anagrafici: dominava la mezza età. I giovani presenti erano minoranza, com’è in parrocchia e nel Paese. Ma a Verona si poteva fare di più per loro. Ogni delegazione diocesana era composta dal vescovo, un sacerdote, un religioso o religiosa, due laici. Quindi, le nuove generazioni hanno potuto trovare posto solo tra i due riservati ai laici. Peccato che non siano stati aggiunti, per ogni diocesi, due strapuntini a loro uso esclusivo. Sarebbe stato un prezioso investimento sul futuro. Ricchi dell’esperienza vissuta a Verona, quei ragazzi avrebbero animato con maggiore spirito i prossimi tre anni dedicati dalla Conferenza episcopale agli anni verdi. Le sintesi Nei 30 gruppi di studio – sei per ognuna delle cinque tematiche – si sono suddivisi i 2.700 delegati. Laici e vescovi, missionari e suore hanno dato vita ad un ampio laboratorio di riflessioni, con qualche sfogo, molte idee e una varietà di proposte. Anche il manifesto, giornale dell’estrema sinistra, riportava con stupore: L’aria che si respira nei gruppi è carica di desiderio di confronto, di dialogo, di ascolto reciproco. Si apprezza il valore della diversità, della necessità di una conoscenza contagiata. Nell’ambito dell’affettività, sono stati sottolineati il diffuso analfabetismo di tanti fedeli, l’immaturità affettiva delle comunità cristiane, la necessità di una formazione all’affettività anche per i consacrati, la parrocchia più luogo di vita affettiva e meno struttura. Su lavoro e festa, numerose le proposte, da quelle coraggiose – boicottare gli acquisti nei giorni festivi – a quelle improntate al realismo – considerare gli ambiti del tempo libero, dello sport, del turi- smo come luoghi di senso e di testimonianza. Le sintesi sono risultate specchio fedele della riflessione. Fugati i dubbi di redazioni omologanti, i partecipanti hanno apprezzato il lavoro dei coordinatori. Adesso i testi sono nelle mani dei vescovi. Nel maggio prossimo, nella loro assemblea, presenteranno il documento conclusivo. A quel punto si comprenderà in pienezza la portata del convegno di Verona. Credenti laici L’ora dei laici è aperta, conserva tutta la sua urgenza, ma va accelerata , ha sostenuto il card. Tettamanzi, aprendo il convegno. E i tempi attuali obbligano a fare tesoro dei credenti laici. Risulta sempre più chiaro – costatava Paola Bignardi – che l’evangelizzazione è portare il Vangelo nei luoghi della vita, soprattutto in quelli che oggi più difficilmente sono raggiunti dalla comunità ecclesiale. Per far questo, c’è bisogno dei laici. La Chiesa – secondo Pezzotta – deve educare alla politica, ma va lasciata ai laici la piena responsabilità e autonomia di decidere le forme e i modi dello stare in politica, sia in termini individuali, sia organizzati. Su questo versante, sono emerse novità nei gruppi di studio sulla cittadinanza. In controtendenza rispetto ad un riflusso nel privato che non risparmia la stessa comunità cristiana – come aveva fatto presente Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica di Milano -, si va riscoprendo l’importanza della politica e la voglia di impegnarsi. Si accetta il bipolarismo ma si critica l’attuale legge elettorale. E soprattutto si chiede di rilanciare le scuole di formazione socio-politica e luoghi permanenti di discernimento comunitario in cui far superare l’esperienza di solitudine dei politici cattolici e il pessimo costume di delegittimarsi reciprocamente in nome della fede. Cammino comune Incontrarsi, conoscere persone di tante diocesi e aggregazioni, scoprire e apprezzare le caratteristiche di ciascuno, costatare la capillare presenza e la vitalità della Chiesa sul territorio. Queste sono le impressioni che i delegati si sono portati via: un motivo sufficiente a giustificare lo svolgimento del convegno. Indubbiamente, è un’esperienza di Chiesa che non trova eguali nelle centinaia di appuntamenti ecclesiali che si tengono ogni anno. Il laico è un uomo della sinodalità, capace di camminare insieme , aveva affermato Brambilla. Adesso è proprio il tempo in cui compiere uno sforzo corale dove ciascuno cerca di scorgere sul volto degli altri ciò che manca alla propria vocazione. E ancora: Non è forse questo il tempo favorevole in cui tutte le anime del cattolicesimo italiano possano parlarsi e confrontarsi?. Tuonava Pezzotta: È tempo di superare i particolarismi, i piccoli recinti per costruire percorsi di fraternità vera e di comunione. È necessario pertanto metterci in rete con un forte spirito ecclesiale e una capacità di agire insieme. Oggi la speranza è confinata nello spazio intimo di bene individuale, da consumare in proprio, o nell’ambito vago di un auspicato progresso sociale. Ma la speranza autentica è ben altro, e se ne può essere testimoni se si è continuamente generati dalla Speranza. È la consegna di Verona. Ora tutto comincia. DELEGATI, VOCE CORALE La Chiesa è viva. Questa la prima sensazione provata – riferisce Dolores Librale, di Milano -. Vedo ancora l’ostacolo posto dai nostri giudizi, pregiudizi e pretese intellettuali, ma lo Spirito Santo sta soffiando . Ho visto una vivace e insieme matura partecipazione. Numerose e forti le esperienze raccontate, dal Nord al Sud del Paese, riferisce Bruno Cantamessa, delegato della Campania. Mi ha colpito molto la domanda di spiritualità che viene dalla base. Quanti ordini religiosi, quante forme di impegno dei sacerdoti, quante priorità nell’attuazione del Vangelo – confida Elisa Golin, manager padovana -. E in questa ricchezza, la sensazione di un comune dolore per la fatica del confronto con la società attuale. Un dolore che, condiviso, è diventato motivo di conoscenza reciproca, possibilità di collaborazione e di apprendimento vicendevole. Vescovi, sacerdoti e laici tesi insieme a costruire nuovi percorsi per portare Gesù nella vita di tutti. I gruppi di studio si sono rivelati ricchi d’indicazioni per il futuro della Chiesa. Eravamo un’ottantina di persone, diverse per formazione ed approcci – spiega Valentina Raparelli, una giovane dei Castelli Romani -, ma c’era il desiderio di dialogare, di mettersi in ascolto dell’altro, di costruire con responsabilità, di testimoniare quella speranza che era oggetto della riflessione. Talvolta ci siamo persi tra mille idee, però non è mai mancato l’impegno per la comunione. Il teologo Piero Coda La via maestra tracciata dal papa Docente alla Pontificia università lateranense, il prof. Piero Coda ha partecipato al convegno scaligero in qualità di presidente dell’Associazione teologica italiana. Quale nota ha offerto il card. Tettamanzi nella sua prolusione d’apertura? La prolusione del card. Tettamanzi ha dato il la al convegno. Egli ha infatti detto con forza che la speranza e la testimonianza cristiane, fondate sulla presenza viva di Gesù risorto, dischiudono un orizzonte nuovo alla cultura e alla società del nostro tempo.Ha riproposto così lo spirito del Vaticano II, ricordando le parole di Paolo VI secondo cui la Chiesa è chiamata oggi a offrire invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia. Egli ha in particolare sottolineato la maturazione della coscienza e della prassi della comunione, richiamando la necessità di un cammino sinodale, e cioè di comune ascolto e impegno, di tutto il popolo di Dio, coniugando varietà e unità, unità e universalità. Un plauso corale ha ricevuto la sua rilettura del comandamento biblico ama il prossimo tuo come te stesso, che va tradotto, a livello ecclesiale, nella formula: ama la parrocchia altrui come la tua, la diocesi altrui come la tua, la Chiesa di altri Paesi come la tua, l’aggregazione altrui come la tua…. Quale indirizzo ha dato alla Chiesa italiana, con il suo intervento, Benedetto XVI? Il discorso del papa è stato alto e ricco. Due linee ispiratrici mi paiono illuminanti. La prima illustra la novità cristiana a partire dalla pasqua di Gesù interpretandola nella logica dell’amore e vedendo in Gesù risorto l’ingresso in una nuova dimensione della realtà. A ciò si collega la lettura della vita cristiana come partecipazione a Gesù risorto, quale espressione dell’inserzione della persona umana in Cristo nel quale siamo uno e in cui siamo aperti a tutti e a ciascuno. La seconda linea ispiratrice – che attraversa tutto il discorso – è formulata incisivamente, alla fine, nel segno dell’unità tra verità e carità come forza propulsiva del cristianesimo, che trova un’espressione qualificata nell’affermazione secondo cui sono due gli elementi che, sin dall’inizio, hanno innervato la fioritura del cristianesimo: l’amicizia per l’intelligenza, da un lato, e l’amore reciproco e verso i poveri, dall’altro. Questa – ha sottolineato il papa – è la via maestra da perseguire anche oggi. La Chiesa dei prossimi anni: quale ruolo si ricava dalle conclusioni del card. Ruini? soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendono Dio credibile in questo mondo. Richiamandosi poi agli indirizzi offerti da Benedetto XVI, ha proposto il lancio di una seconda fase del progetto culturale inaugurato al convegno di Palermo (1995), centrata sulla visione della persona che scaturisce dal vangelo e che è in grado di intercettare positivamente le istanze e le sfide del nostro tempo. Infine, ha sottolineato la necessità di far crescere a tutti i livelli la consapevolezza del valore decisivo dei rapporti che ci uniscono gli uni agli altri, richiamando a un rinnovamento secondo lo spirito del Concilio della vita e della missione della Chiesa, al discernimento comunitario come metodo specifico della vita dei cristiani nella Chiesa e della loro testimonianza nei vari ambiti della società civile, a un esercizio positivo della laicità dello Stato. Quali, secondo lei, le piste di approfondimento e di impegno del dopo Verona? Il tema del convegno è stato senz’altro bello, calzante, denso d’implicazioni. È cresciuta non solo la partecipazione delle diocesi, delle famiglie religiose, delle aggregazioni laicali e dei nuovi movimenti ecclesiali, ma anche il desiderio sincero e, non di rado, l’esperienza in atto dell’incontro e del dialogo. È riemerso, ancora una volta, un leitmotiv che ha caratterizzato lo svolgimento dei precedenti convegni e che del resto è un’istanza qualificante del Vaticano II: la questione dei laici. La teoria c’è – è stato sottolineato -, è acquisita, è necessaria un’accelerazione convinta della sua messa in atto. Anche se è importante sottolineare, a mio avviso, che il quadro ecclesiologico di riferimento non ha preso in adeguata considerazione – secondo l’insegnamento di Giovanni Paolo II – la coessenzialità, nella vita della Chiesa, dei ‘carismi istituzionali’ e dei ‘carismi profetici’ nello specchio di Maria, essenza e centro vivo della Chiesa, come ha detto nel suo discorso Benedetto XV