La confusione e la speranza
Dopo il comunicato delle forze armate – non tutti se lo attendevano, a dire il vero – che ha dato un ultimatum di 48 ore al governo e all’opposizione per trovare una rapida uscita dall’impasse in qui si trova il Paese, clacson e grida di gioia si sono levati nelle piazze del Cairo e delle altre principali città egiziane di nuovo affollate di famiglie, adulti e bambini, donne velate e non velate: tutti sventolano la loro bella e amata bandiera egiziana. E sopra alla folla al Cairo si sono visti pure cinque elicotteri dell’esercito che trascinavano anch’essi delle bandiere gigantesche, dopo che domenica avevano invece gettato sulla gente delle bandierine.
Il fatto è che il popolo sente come la fine del vecchio regime (vecchio solo di un anno!) stia avvicinandosi ed è grato del sostegno dell’esercito che si schiera di nuovo a fianco della gente. Esercito che, per anni odiatissimo dalla maggioranza della popolazione, un anno fa ha cercato di seguire il volere del popolo appoggiando Morsi, e che ora, di fronte al fallimento del regime instaurato dai Fratelli musulmani, gira le spalle al presidente per sostenere il volere popolare.
Le nostre fonti egiziane ci raccontano «dell’impressionante gioia, dei forti sentimenti di liberazione, del risveglio di un orgoglio di appartenenza al grande popolo egiziano, composto non solo dalla maggioranza musulmana, ma anche da cristiani, da giovani e da anziani, poveri e meno poveri…, ma tutti egiziani, che ora avanzano mano nella mano».
«Sembrava quasi – ci raccontano ancora i nostri amici egiziani – che la festa nazionale si prolungasse su più giorni. Una giornata di “risurrezione”, si direbbe: il sorriso e la gioia caratteristiche degli egiziani, sparite negli ultimi mesi, sono tornati a mostrare il vero volto del popolo egiziano».
Ormai, con quelle del ministro degli Affari esteri, Mohammed Kamel Amr, sono sei i ministro che hanno presentato le dimissioni al primo ministro Hisham Kandil. Nonostante ciò, il presidente durante la notte ha fatto sapere che rifiuta di ritirarsi. Secondo Al Ahram, il più noto giornale egiziano, il portavoce della presidenza ha fatto sapere un po’ grottescamente che «il presidente non era stato informato dall’ultimatum delle Forze armate».
Ora, quali sono gli scenari possibili? Come sempre, l’Egitto è imprevedibile, ma sembra chiaro che il governo del presidente Morsi tra qualche giorno non esisterà più. L’esercito potrebbe nominare un governo di transizione, composto da tecnici. Il partito Nur, quello dei salafiti, propone elezioni anticipate, mentre i Fratelli musulmani organizzano grandi manifestazioni. Potrebbero scatenarsi incidenti e scontri nelle piazze, perché i due fronti non molleranno tanto facilmente la propria idea. «I “ribelli” – ci dicono ancora dal Cairo – sanno di essere dalla parte dei vincitori: hanno l’appoggio della maggioranza della popolazione e con la raccolta oceanica delle firme contro Morsi, 22 milioni, hanno saputo coinvolgere i cittadini normali, quelli in massima parte finora “apolitici”».
Il governo, da parte sua, cercherà di far concessioni sulla Costituzione e nella nomina di membri del governo al di fuori della Fratellanza musulmana. Ma l’opposizione pare decisa a rifiutare i colloqui col presidente, insistere sulle sue dimissioni. «Allo scadere dell’ultimatum – continuano le nostre fonti –, il governo potrebbe così gettare la spugna. Ma certamente, i militari non lasceranno trascinare il Paese in una pericolosa deriva di scontri continui, danneggiando ulteriormente l’economia del Paese. Imporranno perciò la loro road map che faranno applicare con fermezza, questa volta con il pieno appoggio del popolo. In quest’occasione l’esercito si è effettivamente comportato in maniere abile e convincente. Si spera che sapranno guidare la transizione verso nuove elezioni, questa volta più corrispondenti all’attuale realtà egiziana.
Sono i miracoli della creatività araba: una situazione di stallo, che appariva insuperabile, ora sembra improvvisamente avviata verso un rapido cambiamento. È questa la transizione araba, da guardare con rispetto, senza qualificarla di “primavera” o di “inverno”, ma appunto di “transizione”.