La comunicazione nel dibattito televisivo

La diretta tivù in onda su La7 ci fa ancora una volta riflettere sul metodo, che poi è anche sostanza, dell’etica della comunicazione e del confronto politico. La riflessione di Emanuela Megli
Berlusconi e Santoro

Ancora una volta inermi di fronte allo schermo con l’unica possibilità di spegnere il televisore o di ascoltare fino in fondo il dibattito, che sarebbe meglio definire sceneggiata. Ho letto su Facebook da un noto esperto di comunicazione che Berlusconi ha dato una lezione di comunicazione a Santoro e a Travaglio, dimostrando che è facile rubare la scena sedendosi dietro la scrivania e facendo un monologo che non prevede interruzioni. E in questo ha dimostrato di conoscere bene i tempi e le modalità della diretta televisiva, giocando sull’improvvisazione.

Mi chiedo se si possa definire abile la capacità di gestire la scena della comunicazione in pubblico e se si possa definire comunicazione quella vista ieri su La7. La comunicazione è prima di tutto un contesto di dialogo nel quale la comunicazione si esprime ed è assenza di giudizio. La comunicazione è accoglienza, è silenzio nel quale la parola può esprimersi. La comunicazione è rispetto dell’idea altrui come della propria in un clima di riconoscimento e di legittimazione delle reciproche istanze. La comunicazione, quando è tale, è costruttiva e porta alla comprensione e alla costruzione comune di senso, presupponendo umiltà, sincerità e riconoscimento della parzialità del proprio punto di vista, che può essere integrato e completato dal pensiero plurale.

Questi sono i presupposti che ieri mancavano, ed è stato chiaro sin dall’inizio che non si sarebbe trattato di dibattito sui temi della politica e del Paese, ma che avremmo assistito all’ennesimo spettacolo da circo, in cui nessuno è realmente sé stesso perché il contesto obbliga alla finzione e alla rappresentazione teatrale.  

Esattamente come quando, tra marito e moglie, si cerca di chiarire i motivi di un contrasto, mentre lo stato emotivo è ancora alterato, allo stesso modo non si può pensare che ci possa essere un dialogo o un confronto tra soggetti che parlano solo per accusarsi o per difendersi. È una guerra dichiarata, che avrà l’unico esito di inasprire ancora di più il conflitto.

Si poteva già prevedere che questo sarebbe accaduto, perché molti programmi televisivi non hanno lo scopo di aprire un confronto sereno e scevro da pregiudizi, giudizi e recriminazioni, ma proprio quello di mettere in piazza lo scontro.

Per andare avanti è necessario trovare lo scopo del dialogo e, una volta accordato, è necessario condividere i modi del dialogo, che per essere tale deve essere costruttivo, deve guardare avanti.

Questo a salvaguardia degli interessi di tutti, onde evitare un ulteriore decadimento dell’etica dei rappresentanti del Paese e della società civile, che talvolta si sente giustificata ad assumere simili comportamenti perché sdoganati anche a livello pubblico.

Emanuela Megli, project manager, esperta in Processi formativi e Comunicazione

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