La complessità per rigenerare la politica

Intervista al Prof. Mario Castellana, filosofo della scienza  presso l'Università del Salento, collaboratore del massimo esperto di pensiero complesso in Italia, Mauro Ceruti, e impegnato nel  Centro di Cultura per lo sviluppo "Lazzati" di Taranto.
"Rigenerare la politica o, meglio per essere più precisi, le menti in carne ed ossa impegnate in questa non facile impresa e cioè ogni comunità, è un punto cruciale da cui dipendono e dipenderanno sempre più le sorti non solo del nostro paese e dell’Europa, ma del mondo intero". ANSA/TINO ROMANO

Prof. Castellana, Lei è stato docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e collabora con il prof. Mauro Ceruti, uno dei massimi pensatori della complessità, curando varie collane e rubriche. È impegnato inoltre con il Centro di Cultura “Lazzati” di Taranto, con il quale stiamo sviluppando il tema del paradigma della complessità per rigenerare la politica. Cosa pensa di questo arduo compito per uscire dalla crisi italiana ed europea, in particolare?

Rigenerare la politica o, meglio per essere più precisi, le menti in carne ed ossa impegnate in questa non facile impresa e cioè ogni comunità, è un punto cruciale da cui dipendono e dipenderanno sempre più le sorti non solo del nostro Paese e dell’Europa, ma del mondo intero; e sia pure arrivati con molte difficoltà al paradigma della complessità, con tale strumento a disposizione, come ci insegna da diverso tempo Mauro Ceruti, possiamo affrontare le attuali policrisi e le poste in gioco ad ogni livello dei problemi odierni che richiedono urgentemente sempre più soluzioni globali. E l’Italia e l’Europa in particolar modo, grazie alle loro radici umanistiche di pensiero critico che le allontana dai “restringimenti ideologici” sempre in agguato, per usare un’espressione di Papa Benedetto XVI, sono più attrezzate nel mettere in campo in ogni contesto interventi anche radicali basati sul paradigma della complessità.

Alla luce della sua riflessione sul blog Odysseo. Navigatori della conoscenza, possiamo parlare di un pensiero della complessità in papa Bergoglio?  Come interpretare il modello del poliedro, le Encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti?

Certamente se ne può parlare, anzi senza di esso si perdono di vista le ragioni di alcune strategiche scelte presenti nel percorso di Papa Bergoglio che ne ha “fatto tesoro”, per usare un’espressione dei Proverbi; del resto, sia pure in modo meno evidente, era presente in alcuni scritti degli anni ’80-’90 sulla scienza di Papa Giovanni Paolo II, che ne aveva colto la dimensione più propriamente cognitiva. Papa Bergoglio poi, grazie alla non comune metabolizzazione del pensiero di Romano Guardini, come ha evidenziato Massimo Borghesi, e alla presenza quasi “laterale” di quello di Pierre Teilhard de Chardin, ne ha fatto un uso ermeneutico ad ampio spettro da quello strettamente teologico a quello pastorale; in tal modo fa fatto del pensiero della complessità il perno del suo intero operato e, senza nessuna difficoltà, si potrebbe dire che gli abbia dato una nuova versione che si potrebbe definire “ragione poliedrica”, “modello poliedrico” con cui fare i debiti conti a partire dall’azione politica. E con tale eredità ci dobbiamo confrontare.

Lei ha affermato che urge una nuova paideia nel tempo della complessità. Che significa diventare diversi “Adami sulle sponde dei vari Rubiconi” di fronte alle “totalità viventi” come la Terra, la vita, il clima, l’ambiente e lo stesso Cosmo?

Innanzitutto si deve precisare che l’idea di una “nuova Paideia” è implicita in quella vera e propria fonte di Siloe che è il pensiero complesso o “poliedrico”, ben evidenziata da Edgar Morin e da Mauro Ceruti, in quanto è il risultato imprescindibile della “riforma del pensiero” ad esso connessa, ed oggi al centro di più percorsi di ricerca; e poi, in questi primi decenni del nostro secolo, essa è diventata il perno teoretico di molti studi condotti in ambito pedagogico in quanto la si ritiene necessaria per educare e formare le menti nel far fronte alle diverse sfide in corso. Poi chi si è abbeverato al pensiero complesso col metabolizzarlo nelle diverse pieghe non poteva non approdare ad essere un “Adamo sulle sponde del Rubicone”, espressione di Leibniz e Kant per indicare la necessità da parte della ragione umana di fare debitamente i conti con i suoi limiti; ma dato che oggi le sponde da attraversare sono molteplici con rinnovati strumenti concettuali ed esistenziali, come del resto ci indica Papa Bergoglio nelle diverse Encicliche, ho lanciato l’idea di comportarci come degli “Adami sulle sponde dei vari Rubiconi”, sulla scia di preziose indicazioni di Simone Weil, in quanto siamo diventati diretti responsabili delle nostre azioni nei confronti di tutte le “totalità viventi” che ci circondano, come le ha chiamate Michel Serres, il cui destino dipenderà sempre dalle nostre scelte.

Perché la complessità è un pensiero delle radici? Cosa significa entrare nelle pieghe nascoste di questo tempo difficile, in questo cambiamento d’epoca?

Per arrivare a considerare la complessità un pensiero delle radici ho ripreso alcune indicazioni di Simone Weil presenti in L’Enracinement e relative alla necessità per l’uomo europeo dopo il secondo conflitto mondiale di rifondarsi e di rigenerarsi su nuove basi; coniugate con le istanze più vive della ragione complessa o poliedrica, che non sono solo di ordine cognitivo, mi hanno portato a tale punto di vista. Esso, del resto, è corroborato da recenti diversi risultati nelle scienze del vivente dove tra le tante indicazioni sta emergendo l’idea di fondo, non solo quindi una ipotesi, già avanzata da Teilhard de Chardin, che siamo come uomini intrecciati con la storia degli altri esseri viventi, tra l’altro molto più lunga della nostra, con i quali va messo in campo una “nuova alleanza”, per usare un’espressione di Ilya Prigogine. In tal modo si sta entrando nelle pieghe del nostro tempo che richiede in ogni campo un cambiamento di prospettive, in quanto sta entrando nella nostra coscienza, sia pure a fatica l’idea, l’idea di s’enraciner diversamente rispetto anche al recente passato.

Nel suo libro Briciole di complessità il prof. Mauro Ceruti coglie la sua capacità di muoversi nella rugosità del reale, di entrare nella complessità della vita.  Come possiamo leggere la sua profonda riflessione sulla sfida storica della complessità?

Premetto ancora una volta che è stata Simone Weil ad indicarmi la strada con l’espressione “la rugosità del reale”; essa è stata arricchita sia dal bagaglio concettuale portato in dote dal pensiero complesso che dalle vicende della vita, che mi hanno portato quasi a far coincidere tout court “rugosità del reale” con complessità col prendere come modello la struttura di un ulivo con le sue tortuosità e millenaria storia, idea suggeritami da mia moglie Geltrude; e la lettura dei numerosi lavori di Mauro Ceruti con i frequenti contatti mi ha permesso di sentirlo sempre più come un “fratello spirituale”, per usare un’espressione del matematico ed epistemologo livornese Federigo Enriques, e mi ha decisamente aiutato a comprendere e a vivere soprattutto la sfida storica della complessità, come un dono razionale da accudire e da proporre agli altri. Ed in tale percorso, essenziale è stata la sfida che lo stesso Papa Bergoglio ha messo in campo e con lui altri che con molta difficoltà ne stanno sperimentando in concreto delle vie, con l’essere dei “nuovi Adami sulle sponde del Rubicone”.

Che ruolo ha avuto la filosofia della scienza nella sua riflessione?

Mi sono confrontato sin dall’inizio dei miei studi in questa disciplina con diverse figure del variegato e poco noto panorama francofono che vi hanno dato un contributo non di poco conto; esse, rispetto ad altre, hanno elaborato un deciso percorso post-positivista che le ha portate a considerare la scienza come autentica produttrice di pensiero con l’insistere molto sulla implicita dimensione spirituale stricto sensu in quanto per sua natura ‘non può mentire sul reale’ e non educa ad assumere atteggiamenti violenti nei suoi riguardi, come affermavano a proposito delle matematiche Simone Weil e Albert Lautman, poi morto combattendo nella Resistenza francese. Così è stato messo in moto un movimento di pensiero che le ha condotte alle soglie della complessità, come ha scritto Edgar Morin nel considerare, ad esempio, Gaston Bachelard uno dei suoi “filosofi”; e la filosofia della scienza, solcata in tale modo, offre dei ‘rimedi razionali’ contro gli esiti riduzionistici del pensiero ad una dimensione, come li chiamava un’altra figura quasi del tutto sconosciuta come Hélène Metzger, morta ad Auschwitz.

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