La compassione in “Under Milk Wood” di Dylan Thomas

Il testo del poeta narra le vicende d’un immaginario paesino del Galles che si snocciola ai piedi di un bosco chiamato Bosco di Latte. Gli abitanti di quel luogo minuscolo vibrano di umanità, le loro vite sono un po’ buone un po’ meschine. Bene e male sono tutti intrecciati.
Dylan Thomas Museum: map di Llareggub (da Flikr)

Una delle cose più belle scritte nel secolo scorso è l’opera radiofonica Under Milk Wood del gallese Dylan Thomas. Quel poeta geniale, ma distrutto dal vizio dell’alcol, che molto impressionò il giovane cantautore Robert Allen Zimmerman, tanto che ne volle assumere il nome diventando Bob Dylan. E una delle cose più belle di Under Milk Wood è la preghiera della sera del reverendo Eli Jenkins.

Due parole per dire di che cosa si tratta. Il testo di Dylan Thomas narra le vicende d’un immaginario paesino del Galles, Llareggub, che si snocciola ai piedi di un bosco chiamato Milk Wood, Bosco di Latte. Gli abitanti di quel luogo minuscolo vibrano di umanità, le loro vite sono un po’ buone un po’ meschine. Bene e male sono tutti intrecciati. Llareggub è il mondo.

Ogni sera il parroco, reverendo Eli Jenkis, volge lo sguardo al sole che tramonta e raccomanda a Dio il suo paesino con una preghiera. E una delle frasi più belle della preghiera è questa: «We are not wholly bad or good / Who live our lives under Milk Wood / And Thou, I know, wilt be the first / To see our best side, not our worst». Che in italiano suona più o meno così: «Non siamo del tutto cattivi o buoni / Noi che viviamo le nostre vite sotto Il Bosco di Latte / Ma Tu, lo so, sarai il primo / A vedere il nostro lato migliore, non quello peggiore».

Statua di Dylan Thomas a SwanSea (da Wikipedia)

La preghiera del reverendo Jenkins fa venire in mente la parola “compassione“. È una parola che deriva da un termine greco che indica le viscere, il cuore, insomma le sedi delle passioni più istintive e meno intellettuali della persona. Questa parola è usata nel Vangelo secondo Marco. Gesù ha compassione della gente che gli viene incontro, individui che gli paiono come pecore senza un pastore, ognuno con le sue grane, ognuno con il suo fardello di peccati mescolati al bene fatto, alcuni travolti dalle povertà materiali, alcuni arenati in quelle strane povertà che vengono dalle ricchezze. Gesù li guarda e si sente stringere il cuore di fronte a quella miseria umana. La compassione è un sentimento nobile e allo stesso tempo doloroso. Essa porta a considerare ogni persona nel suo giusto verso, cioè come un’eccezione.

Il poeta inglese Oscar Wilde era, come Dylan Thomas, un misto di genialità e vizio (alla sua epoca così era considerata l’omosessualità ed era punibile dalla legge). Wilde scriveva che l’etica di Gesù era tutta compassione. «La sua moralità era tutta comprensione partecipe, esattamente ciò che la vera moralità dovrebbe essere. Non avesse detto altro che i suoi peccati le saranno rimessi perché ha molto amato, valeva la pena di morire per aver detto questo. Per lui non esistevano leggi, c’erano solo eccezioni, come se nessun uomo avesse al mondo chi gli rassomigliasse».

La legge umana non potrà mai essere così, per sua natura non potrà mai basarsi sull’eccezione, dovrà giudicare l’atto o alcuni atti commessi da una persona, in violazione del codice. Ed è giusto che sia così. Ma è anche bello pensare che esiste un’altra legge, ben più profonda, quella della compassione. Solo i santi e i poeti la sanno comprendere. E Oscar Wilde annoverava Gesù nel numero dei poeti. La legge della compassione non è la tana libera tutti che avvalla ogni depravazione o crimine, è una legge severa, ma che giudica la persona nella globalità della sua vita, e sa vedere nella profondità del suo cuore il bene e il male.

Oggi siamo in un periodo in cui all’etica si dà grande valore. Ed è giusto che sia così. Ma bisogna riconoscere che essa a volte viene usata come scudo per pararsi le spalle, o per dare una punizione esemplare a chi si è fatto coinvolgere ingenuamente in faccende non corrette, o come arma per attaccare e possibilmente distruggere un avversario. Siamo in un’epoca in cui, oltre alle naturali imperfezioni della giustizia, si sviluppano processi mediatici che si alimentano del sentito dire, sulla spinta del tam tam social. Fa perciò del bene sentire le parole del poema di Dylan Thomas.

Fa bene al nostro cuore guardare ogni sera, con compassione, le vicende del grande mondo e quelle del piccolo mondo della gente che conosciamo. E di fronte al sole che tramonta, recitare la stessa preghiera del reverendo Eli Jenkins: «Non siamo del tutto cattivi o buoni / Noi che viviamo le nostre vite sotto Il Bosco di Latte / Ma Tu, lo so, sarai il primo / A vedere il nostro lato migliore, non quello peggiore». Amen.

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