La compassione di Battiato, di Harry e di Bergoglio
Franco Battiato ci ha lasciati orfani nel silenzio più assoluto, con quella classe di cui non pochi cantautori erano invidiosi. Ma la classe la si può acquisire solo in misura minima: o c’è o non c’è. Il cantautore siciliano – la definizione, pur corretta, appare infinitamente inadeguata per descrivere la vastità del talento di Battiato – ha saputo cantare l’insospettabile spiritualità dell’era del cinghiale bianco e del digitale, pescando assieme al suo paroliere preferito, il filosofo Manlio Sgalambro (a dire il vero poco citato questa settimana), senza confessionalismi e senza sensazionalismi, con molta poesia e non poca capacità di superare i confini delle convenzioni politicamente corrette.
Harry d’Inghilterra è apparso sullo schermo nel più noto talk show del mondo, una settimana dopo il funerale del nonno Filippo di Edimburgo e nelle stesse giornate in cui viene svelato al mondo che la madre, Lady D, è stata vittima di un incredibile raggiro proprio nel cuore della televisione considerata il regno assoluto della professionalità. Harry ha in realtà poco da dire, se non per contrasto alla famiglia reale. Lady D aveva poco da dire, e così Filippo, vissuto all’ombra della regina sua sposa. Ma anche Harry, sull’esempio della madre Diana, ha voluto superare delle frontiere stabilite dalle regole istituzionali, che vogliono che il monarca viva sull’insignificanza della sua vita personale.
Papa Francesco, in una sua breve dichiarazione nel Regina Coeli di domenica 16 maggio, ha sfondato la barriera del politicamente corretto internazionale – guai ad attribuire le colpe del conflitto israelo-palestinese a una sola parte politica – con un grande escamotage comunicativo, mettendosi dalla parte delle vittime. Ha così detto: «Seguo con grandissima preoccupazione quello che sta avvenendo in Terra Santa. In questi giorni, violenti scontri armati tra la Striscia di Gaza e Israele hanno preso il sopravvento, e rischiano di degenerare in una spirale di morte e distruzione. Numerose persone sono rimaste ferite, e tanti innocenti sono morti». Fin qui, politically correct al massimo grado. Poi ha però aggiunto: «Tra di loro ci sono anche i bambini, e questo è terribile e inaccettabile. La loro morte è segno che non si vuole costruire il futuro, ma lo si vuole distruggere». I bambini fanno superare la barriera della convenzione, la preservazione della loro vita è indiscutibile.
Tre modi diversi di superare il politicamente corretto, quindi. Tre modi di “far parresia”, cioè di dar spazio alla sincerità che diventa compassione. Val la pena, a questo proposito, di sottolineare una nota comunicativa che mi sembra assai importante: tutti e tre i nostri “mediatici” hanno mostrato una ricerca comune: andare al cuore della compassione suscitata dai sentimenti, cioè del fatto che certi sentimenti esprimono quello che di più profondo esiste nell’animo umano, la compassione necessaria per raggiungere una corretta umanità.
Battiato con la sua poesia ha risvegliato in noi i sentimenti che ci spingono ad occuparci dell’altro: La cura, forse la sua canzone più nota, ha sparso le sue note molto, ma molto prima degli slogan di tanti politici tipo I care… Harry, con le sue parole da ragazzo un po’ viziato, ci ha fatto sentire tutti un po’ offesi da chi vuole imbrigliare i nostri sentimenti per ragione di Stato: tutti noi abbiamo un po’ compatito i reali d’Inghilterra costretti in ruoli poco umani. Il papa, infine, ha sbrigliato i sentimenti di chi si sente offeso nella sua umanità per il fatto stesso che dei bambini muoiono di morte violenta.
Nell’atto comunicativo, chi parla (emettore, si dice in comunicazione) raggiunge chi riceve la comunicazione (recettore) e può colpirlo al cuore o lasciarlo indifferente. Battiato, Harry e Bergoglio hanno risvegliato la compassione dei recettori, di noi tutti. Dobbiamo essere grati ai tre – seppur con “pesi specifici” tanto diversi −, così come a tutti coloro che li accompagnano nel cum-patere, nel soffrire assieme.