La classe operaia va in teatro
La classe operaia va in teatro
Alla sua uscita nel 1971, il film di Elio Petri mise d’accordo gli opposti. Industriali, sindacalisti, studenti, nonché alcuni dei critici cinematografici più impegnati dell’epoca, si ritrovarono parte di uno strano fronte comune contro il film. La vicenda dell’operaio Lulù Massa, stakanovista odiato dai colleghi, osannato e sfruttato dalla fabbrica BAN, che perso un dito scopre per un istante la coscienza di classe, si intreccia qui, nell’allestimento teatrale di Claudio Longhi, con le vicende che hanno accompagnato la genesi e la ricezione contestatissima del film. Lo spettacolo è costruito attorno alla sceneggiatura, ai materiali che ripercorrono la loro officina creativa, a come il film è arrivato al pubblico di ieri e di oggi, e a piccoli capolavori della letteratura italiana di quegli anni, ricomposti in una nuova tessitura drammaturgica dallo scrittore Paolo Di Paolo per provare a riflettere sulla recente storia del nostro Paese, con le sue ritornanti accensioni utopiche e i suoi successivi bruschi risvegli. “Se l’inferno umido e grasso della fabbrica cottimista dell’operaio Massa, appare ben lontano dagli asettici e sterilizzati spazi industriali o dai lindi uffici dei precari odierni – spiega il regista – lo stesso non è del ritmo ossessionante e costrittivo di una quotidianità, allora e ancora oggi, alienata. Un tempo, il nostro, post-moderno e post-ideologico, che fatica a riconoscere in modo netto i tratti di una qualsivoglia “classe operaia”, dispersa e nascosta dietro gli innumerevoli volti del lavoro “flessibile”.
“La classe operaia va in paradiso” liberamente tratto dal film di Elio Petri, di Paolo Di Paolo, regia Claudio Longhi, scene Guia Buzzi, costumi Gianluca Sbicca, luci Vincenzo Bonaffini, video Riccardo Frati, musiche e arrangiamenti Filippo Zattini, con Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia, Franca Penone, Simone Tangolo, Filippo Zattini. Produzione Emilia Romagna Fondazione Teatro. A Modena, Teatro Storchi, dal 31/1 al 4/2. In tournèe.
Ricordando Il gabbiano di Giancarlo Nanni
Lo sguardo ironico del grande autore russo sulla borghesia in villeggiatura sulle rive di un lago: i drammi e le tragedie accadono fuori scena. Pur rappresentando uno spaccato sociale della borghesia russa di fine ‘800, Il Gabbiano, è un’opera di grande attualità, sia per l’intreccio tra natura, sentimenti umani e complessità dell’arte, sia per il conflitto generazionale tra i personaggi. La compagnia La Fabbrica dell’Attore, fondata da Giancarlo Nanni e Manuela Kustermann, per il suo 50° anno di attività, vuole ricordare la figura storica del suo fondatore, nonché regista di innumerevoli successi che hanno segnato la storia del teatro contemporaneo. La ripresa di questo storico spettacolo, che nacque da un lungo percorso, fatto di studio, laboratori, prove che la compagnia tutta fece tra il 1996 e il 1998, rappresenta il più completo e capace di raccontare al meglio la sua cifra stilistica e la poetica. a curarne la rimessa in scena è Manuela Kustermann, la custode più attendibile del segno registico di Nanni.
“Il gabbiano” di Anton Cechov, con Manuela Kustermann, Lorenzo Frediani, Massimo Fedele, Eleonora De Luca, Anna Sozzani, Sara Borsarelli, Paolo Lorimer, Maurizio Palladino; musiche Lucio Battisti, Philip Glass, Meredith Monk, Michael Walton, scene Giancarlo Nanni, costumi Manuela Kustermann, luci Valerio Geroldi, regia Giancarlo Nanni, ripresa da Manuela Kustermann. A Roma, Teatro Vascello, dall’1 al 18/2.
Il Maestro e Margherita fra teatro e danza
Il capolavoro di Bulgakov riletto in forma di danza, teatro, musica e arte visiva, nasce da un’idea di Emanuele Conte, che firma la regia insieme a Michela Lucenti di Balletto Civile. Un lavoro complesso, che come il libro ha più piani di lettura che s’intrecciano tra loro. “Questo è uno spettacolo che contiene un altro spettacolo che parla di raggiri, di frodi e di bugie”. Sono le parole che annunciano quello che lo spettatore andrà a vedere: tre piani distinti, che coinvolgeranno lo spazio dietro il sipario, il proscenio e anche la platea dove il pubblico diventerà esso stesso elemento scenico. Il rapporto tra verità e arte, e la paura che deriva dalla ricerca di essa, sono la sottotraccia del testo scritto da Emanuele Conte ed Elisa D’Andrea, e che esplode in tutta la sua potenza eversiva nelle coreografie di Lucenti.
“Il Maestro e Margherita”, regia di Emanuele Conte e Michela Lucenti, coreografie Michela Lucenti, impianto scenico Emanuele Conte, costumi Chiara Defant, luci Andrea Torazza, musiche Tiziano Scali e FiloQ, pianoforte Gianluca Pezzino, con Andreapietro Anselmi, Fabio Bergaglio, Maurizio Camilli, Pietro Fabbri, Michela Lucenti, Marianna Moccia, Alessandro Pallecchi, Stefano Pettenella, Gianluca Pezzino, Paolo Rosini, Emanuela Serra, Natalia Vallebona. Produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse e Balletto Civile. A Genova, Teatro della Tosse, dal 2 all’11/2.
Nel mare oscuro di Lampedusa
“Un’escursione coraggiosa nelle acque oscure della migrazione di massa”, così il quotidiano The Guardian definisce il testo del britannico Anders Lustgarten, novità assoluta per l’Italia per la regia di Gianpiero Borgia. Due monologhi, due storie perfettamente intrecciate, quelle di Stefano, un pescatore siciliano ormai impegnato a recuperare i corpi dei profughi annegati in mare (3500 nel solo 2015) e di Denise, una donna immigrata di seconda generazione – qui una marocchino italiana – che riscuote crediti inevasi per una società di prestiti. Condannata per sempre al ruolo di outsider in Europa, sostiene che i marocchini sono “i primi ad essere partiti e gli ultimi tra gli immigrati ad essere considerati”. La povertà e la disperazione non sono solo lo scenario del racconto: sono causa generatrice del contrasto sociale dei protagonisti, argomento di fuga per entrambi e insieme condizione per il miglioramento del proprio status attraverso lo sciacallaggio della disperazione altrui.
“Lampedusa”, di Anders Lustgarten, traduzione di Elena Battista, regia Gianpiero Borgia, con Donatella Finocchiaro e Fabio Troiano, scene e costumi di Alvisi e Kirimoto,. Produzione Bam Teatro, Teatro Eliseo, Mittelfest 2017. A Roma, Teatro Eliseo, fino al 18/2.
Il Giocatore di Dostoevskij
La grande letteratura si fa teatro. Il capolavoro di Dostoevskij, nella versione di Vitaliano Trevisan, ci viene restituito in un allestimento originale ed efficace, sempre in bilico tra dramma e commedia. Il linguaggio scenico, al servizio dell’ironia e del sarcasmo del testo, catapulta lo spettatore in un girone dantesco. La passione e la compulsione, le ossessioni e le debolezze di Aleksej, Polina, Blanche e degli altri personaggi dell’opera si rivelano non lontane dalle nostre. Ogni debolezza, in un attimo, può trasformarsi in un vizio che trascina in una spirale senza ritorno, capace di piegare tutti, anche i più forti, quando decidono di provare. A simboleggiare la perfidia della roulette c’è il croupier che scandisce i momenti più intensi e forti della satira, gli attimi in cui la dipendenza diventa acuta, le ricchezze svaniscono, la disperazione cresce e l’animo umano s’impoverisce. Le sequenze di gioco impreziosiscono la messa in scena con vorticose emozioni, diventando uno specchio perfetto della trappola in cui sono finiti tutti i personaggi.
“Il giocatore”, da Fëdor Dostoevskij, adattamento Vitaliano Trevisan, regia Gabriele Russo, con Daniele Russo, Marcello Romolo, Camilla Semino Favro, Paola Sambo, Alfredo Angelici, Martina Galletta, Alessio Piazza, Sebastiano Gavasso; scene Roberto Crea, costumi Chiara Aversano, disegno luci Salvatore Palladino. Coproduzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Stabile di Catania. A Milano, Teatro Franco Parenti, fino al 4/2. In tournèe a Prato, Teatro Metastasio, dall’8 all’11; a Trieste, Politeama Rossetti, dal 14 al 18; quindi Salerno, Savona, e Modena, Teatro Storchi, dal 15 al 18/3