La città di Genova contro le armi
«La richiesta di “accosto” è arrivata: attendiamo il “nulla osta” del terminalista per confermare l’attracco e aspettiamo di sapere se in banchina c’è posto». Lo ha annunciato l’Autorità di Sistema portuale del Mar Ligure Occidentale, riguardo allo scalo della motonave Bahri Yanbu, impiegata in un servizio di linea tra gli Stati Uniti, l’Europa, il Medio Oriente e la costa occidentale dell’India. L’autorità ha confermato che «la nave, attesa a Genova lunedì 20 maggio 2019, durante la sosta in porto non imbarcherà materiale bellico né componenti, attrezzature o tecnologie che possano in qualche modo essere utilizzate per scopi bellici». Specificando poi che ciò «risulta dalle comunicazioni e documentazioni fornite dal terminal portuale, anche in sede di audizione presso la Prefettura, nonché dall’agenzia marittima di riferimento».
Ma ieri a Genova è stata una giornata intensa di contatti a 360 gradi tra forze politiche, sindacati e associazioni pacifiste che vorrebbero che venisse impedito l’attracco. Una animata assemblea convocata dal Collettivo autonomo lavoratori del porto si è tenuta in serata per decidere quali manifestazioni adottare, nonostante Prefettura e Capitaneria “assicurano” che «che non sono ci sono rilievi per impedire l’attracco». All’assemblea hanno partecipato un centinaio di persone, tra cui il console Antonio Benvenuti e i delegati Culmv della Cgil. «Lunedì mattina quando arriverà la nave e vedremo il manifesto di carico, sapremo se quanto ci è stato garantito dal prefetto è vero, vale a dire che la nave non caricherà a Genova armi ma merci varie. Se così sarà manderemo le squadre con anche nostri delegati per verificare che sia effettivamente così. In caso contrario, anche se si trattasse di proiettili vuoti, dichiareremo sciopero. In ogni caso quello che stiamo dando è un segnale: che a Genova il porto resta chiuso alle armi».
«Faremo il possibile perché nel nostro porto non passi alcun tipo di materiale bellico – ha detto dal palco Enrico Poggi, ex gruista del Genoa metal terminal e segretario generale della Filt Cgil di Genova –. Se l’obiettivo è imbarcare armi, organizzeremo un boicottaggio, come abbiamo sempre fatto a partire dal secolo scorso, quando da Genova dovevano partire gli ordigni americani destinati al Vietnam o ai Paesi del Golfo. Ma anche se non fosse così, organizzeremo un presidio sotto la sede dell’Autorità portuale, insieme alle associazioni che hanno già aderito, per ribadire la nostra contrarietà alla vendita di armi europee a Stati che le utilizzano a scopo di aggressione, colpendo obiettivi civili». Perché, ricorda Luca Franza, altro delegato della compagnia «sono 4 anni che la nave tocca questo porto, e 98 carri armati sono arrivati via terra in questo periodo con scorte armate, per essere imbarcati. Ora l’intento è quello di trovare una risposta politica a quello che sta accadendo». Come d’altra parte prevedono trattati internazionali ratificati anche dall’Italia.
Si vuole trovare una risposta, tutti insieme, la città di Genova deve dimostrare che è contro la guerra, contro le armi. «Vogliamo il porto chiuso alle armi e aperti alla pace, alla convivenza, alla circolazione delle persone». Uno dei camalli storici, in porto da una vita, interviene dicendo, quasi urlando, che «il nostro lavoro non può essere al servizio della guerra. Dalla nostra città deve cominciare una battaglia contro tutte le guerre». Questo fine settimana servirà per affinare le strategie da mettere in campo lunedì, quando il cargo toccherà la banchina. E mentre il gruppo dei camalli lascia la sala, circola un nuovo comunicato firmato da associazioni cittadine quali Arena Petri Liberi/e Forti, Circolo Culturale Aldo Moro, I popolari, Movimento Politico per l’Unità, Acli, Libera Genova, Centro Banchi, Cittadini Sostenibili, Salesiani Liguria in cui ribadiscono la richiesta del porto chiuso alle armi, città aperta alla pace. E dove scrivono: «Con le nostre associazioni chiediamo con forza che le Autorità locali competenti si adoperino con ogni mezzo per impedire l’attracco della nave in porto ed evitare, così, un atto ingiusto che violerebbe la Costituzione, i trattati internazionali e le nostre leggi. Il porto della città non deve essere aperto per l’imbarco di armi destinate ad uccidere vite umane innocenti; l’anima aperta di Genova, già ferita da tanta sfortuna, non deve essere costretta a tollerare questa complicità con la morte. Ci affianchiamo in questa richiesta ad altre voci che si sono levate da diversi ambiti di una città che dimostra di mantenere un cuore aperto e vigile, di non volere in alcun modo essere complice della guerra e che conferma la propria vocazione alla pace, che noi speriamo sia presto sancita anche dall’adesione del Consiglio Comunale alla cosiddetta mozione di Assisi, con cui tante città italiane stanno chiedendo al governo e al Parlamento di interrompere la vendita di armi utilizzate nella guerra in Yemen».
Lunedì quindi sarà la giornata della verità, quando la nave ancorata alla banchina scoprirà le carte e si capirà quale sarà il carica che verrà effettuato. Resta comunque forte il segnale lanciato da Genova, dai camalli, dai tanti lavoratori del porto, dai tantissimi cittadini singoli o raccolti in associazioni e sintetizzato nell’intervento di Bruno Rossi, portuale in pensione che ha ricordato le battaglie in porto contro la guerra in Vietnam: «È importante che qualcuno abbia deciso che qui deve cominciare una battaglia che prosegua il nostro impegno per fermare le guerre e schierarci dalla parte dei poveri».