La città dei cappelli
Un giorno la nebbia della superbia invase la città.
Il sindaco pensò subito come mostrare che lui valeva più degli altri e, siccome le corone non erano di moda, decise di farsi fare un cappello speciale. La domenica, quando tutti andarono a passeggiare nel parco, c’era anche lui assieme alla moglie. Aveva un cappello che sembrava la torre di Pisa, mentre la moglie ne aveva uno così largo da sembrare un ombrellone da spiaggia. La gente moriva d’invidia.
La domenica successiva la passeggiata fu una solenne sfilata di berrettoni, cappellini e cappelloni. Ce n’era uno così grande che non si vedeva neanche chi c’era sotto. Un altro era così pesante che, dopo alcuni passi, la signora che lo portava, cadde svenuta mentre la sua amica, che aveva in testa una specie di cesto di fiori, cominciò a correre inseguita da mille api.
La signora Cilla, che era golosa, con il suo cappellino di pasticcini e confetti, fu talmente oscurata dalle mosche che ruzzolò a gambe in aria. Il conte si presentò con un cilindro carico di perle preziose e le gazze aspettavano quel momento per rubargliele. E lui a urlare.
Il vento si accorse che i bambini, nascosti dietro un cespuglio, si divertivano a guardare. Per aumentare la loro gioia, si unì alla sfilata. Improvvisamente i cappelli volarono. Anche frutta, mosche e api volarono. Ognuno si aggrappava al proprio cappello e il vento, incurante di cosa gridavano, li trasportò in mezzo a un prato e li fece cadere uno a uno, disponendoli a cerchio.
Erano tutti così gonfi di vergogna da non avere il coraggio di guardarsi. Uno dei bambini arrivò in mezzo a loro e chiese: «Siete bravissimi a fare cappelli, perché non costruite per noi degli aquiloni?».
Tutti si guardarono e si sorrisero. La domenica seguente il vento riempì il cielo azzurro di aquiloni. Le finestre delle case si aprirono a tanta festa e la superbia, che non sopporta il profumo del vento, uscì dagli angoli bui e volò lontano, lontano, lontano.