La città dei 15 minuti

La sostenibilità integrale. La comunità di vicinato. La città a misura di alberi. Il PNRR con 7 milioni piante. Come riprogettare le nostre metropoli dopo la pandemia
La High line di New York

La pandemia ci pone di fronte alla ricerca di una prospettiva di sostenibilità integrale per uscire da una crisi entropica. Questa può rappresentare il collasso di un sistema per implosione. Per evitare tale crisi serve un cambio di paradigma, una ricerca di senso, di direzione dell’agire presente e futuro.

Il cambiamento implica l’immaginare nuove «rappresentazioni che danno forma al futuro». (A. Appadurai). Si tratta di generare nuove politiche, istituzioni, forme di creazione di valore. In sintesi, dobbiamo creare una sostenibilità integrale. Non è solo transizione green e digitale, ma piena fioritura umana, potenziamento della comunità. È una trasformazione epocale, non solo economica, sociale, politica ma anche antropologica. Ci troviamo di fronte a dilemmi etici che virano verso la riscoperta della comunità, la costruzione di senso per trasformare il sistema con alleanze di scopo tra gli attori del sistema.

Questo scenario non è possibile senza una rigenerazione della fiducia da mettere in circolo per rendere fluidi scambi, interazioni, progetti di trasformazione della realtà. Si rende poi necessaria una vasta valorizzazione dei beni comuni accanto ai beni privati e pubblici. Ad esempio la cura della salute come bene comune globale.

Il governo dei beni comuni implica, come vedremo nelle città, una triangolazione tra Stato, Mercato, Comunità attraverso gli strumenti della coprogrammazione e della coprogettazione. Si tratta di impiantare nella nuova epoca il Pilastro comunitario con Enti del Terzo settore, forme di economia sociale e civile.

Sono urgenti economie prossime ed inclusive nel nuovo campo di gioco tra politica, economia e società, a partire dalle realtà urbane: cooperative di comunità, mutualismo, servizi di prossimità. Sullo sfondo nazionale bisogna ricostruire lo spazio politico con un ruolo riconosciuto al Terzo Settore nell’attuazione del PNRR. Da qui può ripartire l’entusiasmo per una buona politica che coprogetta attraverso le istituzioni per il bene comune, per le nuove generazioni rese protagoniste a tutti i livelli.

Stiamo preparando il futuro, a partire dalle città, con la speranza necessaria a spronare l’azione, come afferma papa Francesco. Solo così eviteremo di tornare come eravamo prima della pandemia. Covid 19 ci fa riflettere sulla inter-indipendenza tra le persone, affermano Chiara Giaccardi e Mauro Magatti. La sfida del futuro è ripartire dal prendersi cura delle relazioni, generando corresponsabilità, resilienza, pro-tensione.
Come saranno le città del futuro, le metropoli, in particolare? Quali saranno i paesaggi urbani? Avremo abitazioni come isole connesse, spazi pubblici con filtri per ridurre rischi sanitari, servizi a non più di 15 minuti di distanza. Saranno le città dopo il virus.

Le Corbusier, dopo l’epidemia Spagnola, aveva teorizzato agglomerati ricchi di natura, aria e sole. Le amministrazioni pubbliche europee ed americane stanno ripensando le forme degli spazi comunitari dei prossimi decenni, anche per prevenire prossime crisi sanitarie. Anche il lavoro si sta articolando tra presenza e remoto. Come elaboreremo il trauma profondo degli ultimi due anni vissuti in lockdown o con limitazioni forti delle relazioni sociali?

Chiusi in casa, lo spazio privato ha riassorbito le attività tipiche di una comunità: educazione, lavoro, cure, sport, intrattenimento. Ma è la città che scorgiamo dai nostri balconi che ci attira con i suoi spazi di libertà e di incontro. Non ci basta il minuscolo spazio privato per quanto ristrutturato per ambienti più ampi.

Cambieremo i paesaggi cittadini e metropolitani nel tentativo di ridurre i rischi con una transizione green e digitale, con minori spostamenti e assembramenti. L’idea di una città nei 15 minuti ci consentirà di trovare beni e servizi a piedi nei pressi delle nostre abitazioni: minimarket di quartiere realizzati da grandi catene commerciali, case della salute o della comunità ogni 20 mila abitanti. La civitas si scompone in un arcipelago multiforme e fluido di isole connesse dalle infrastrutture principali di collegamento e di servizi pubblici come scuole, biblioteche, musei, impianti sportivi.

Si rafforzerà l’idea di comunità di vicinato, che sembrava essere annullata dalla grande metropoli, per potenziare qualità dell’abitare e forme di solidarietà. Le connessioni digitali favoriranno la costruzione di reti di servizi. Non possiamo escludere purtroppo il rischio di aree per élite privilegiate con filtri sanitari per le consegne, controlli sanitari, spazi per il benessere e la cura del corpo.

I quartieri popolosi e densificati con famiglie numerose necessitano pertanto di rigenerazione urbana per decenni. La pandemia ci impone di rivedere architettura, urbanistica e sistema di welfare pubblico. Dobbiamo immaginare alternative al Novecento. Avremo spazi pubblici per salute, cultura, educazione, sport a 15 minuti ma con maggiore controllo sociale per avere filtri necessari.

Fondamentale sarà la sostenibilità ambientale. Si impongono scelte radicali pensando alle prossime generazioni. Andremo verso nuovi modi di abitare con miniappartamenti e social housing con spazi comuni per smart-working, sale di lettura e di dialogo. Dobbiamo offrire un alloggio in sicurezza a tutti, poveri compresi. La pandemia ha tolto infatti lavoro e casa a molti.

Per la transizione ecologica abbiamo bisogno di una città a misura di alberi, afferma Stefano Mancuso. Nei prossimi 10 anni 7 persone su 10 vivranno nelle realtà urbane. Negli anni Settanta invece il 70 % viveva ancora nelle campagne. Si pongono problemi seri di sviluppo sostenibile e di cambiamento climatico. Oggi 4 miliardi di persone vivono in città. Entro 10 anni altri 2 miliardi si aggiungeranno con grossi problemi, ad esempio di approvvigionamento idrico. Consideriamo poi che i grandi agglomerati creano oltre il 75% di rifiuti e di CO2 pur coprendo appena il 2 % della superficie terrestre.

Stiamo aggredendo l’ecosistema. Qualcosa può cambiare. Dobbiamo immaginare polis completamente diverse dal punto di vista di progettazione e di costruzione. Servono realtà aperte alla natura per creare ecosistemi equilibrati. Le piante possono svolgere una funzione importante e ricordarci che le città, come diceva La Pira, sono esseri viventi, con una fisiologia ed un proprio metabolismo. La presenza di molte piante aumenterà la biodiversità e quindi la resistenza civica. Trasformiamo agglomerati di asfalto e cemento in città viventi e queste resisteranno nel futuro. Così avverrà la conversione ecologica entro il 2050.

La cura dell’ambiente imporrà la realizzazione di citta modello, che non produce rifiuti con economia circolare. È possibile con una filosofia virtuosa basata su compostaggio, riciclaggio, eliminazione degli imballaggi. Troviamo già a Capannori, piccola cittadina virtuosa, un esperimento che rende possibile questa trasformazione per vestiti, lavatrici, mobili etc.

In conclusione, il PNRR prevede quasi 7 milioni di nuove piante. È una occasione storica a favore dell’ambiente e per tutelare la biodiversità, anche per prevenire salti di specie attraverso la forestazione urbana.

 

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