La città, alternativa alla disumanizzazione

Si ricorda a Firenze l’incontro tra La Pira e Léopold Sédar Senghor, poeta della negritudine e presidente del Senegal. Un’intervista a Maurizio Certini per offrire una chiave di lettura attuale dei rapporti tra Africa e Europa nella visione dei due testimoni di una politica di fraternità
senghor la pira

Nell’occasione dei 10 anni dalla morte del cantore della negritudine, martedì 15 novembre è atteso, per iniziativa della Fondazione La Pira, l’intervento del cardinale Théodore-Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar, assieme a tanti esperti di politica internazionale – tra i quali Pasquale Ferrara, editorialista di Città Nuova e segretario generale dello European University Institute.

Cosa lega Firenze al continente africano nella visione profetica di La Pira e Senghor? Lo chiediamo a Maurizio Certini, attento studioso di La Pira e direttore del Centro internazionale “Giorgio La Pira”.

 

Che cosa ha significato l’incontro tra Senghor e La Pira a Firenze? Cosa legge, in quel momento della storia, il sindaco “anomalo” ?

 

 

«Dopo l’incontro con Senghor a Firenze, La Pira ebbe a dire: “La civiltà dell’universale: ecco ciò che Senghor ha visto, specchio fedele di quell’unità del mondo che è il sogno biblico, il sogno coranico ed il messaggio supremo dell’Evangelo: ut unum sint!”. In quel momento l’attenzione di La Pira alla dimensione internazionale della politica e dei rapporti tra i popoli è costantemente rivolta alla costruzione della pace, che coinvolge l’impegno dell’intera famiglia umana in una strategia che ha come fulcro l’Europa ma che chiede la partecipazione attiva di tutti i popoli, e in particolare delle nazioni nuove, dei continenti nuovi per entrare nella storia del mondo come protagonisti essenziali.

 

 

Una visione solo utopica?

 

«Nell’utopia lapiriana (spes contra spem) il fiume della storia procede inesorabilmente verso la sua foce prestabilita, verso il mare della giustizia e della pace per sempre, come la notte, della guerra e del pericolo del conflitto nucleare totale, prelude sempre l’alba. Ma allo stesso tempo occorre, a suo avviso, l’impegno incessante per forzare l’aurora a nascere, anzitutto con mille e mille atti della vita quotidiana, poi con l’azione diplomatica e con quella più specificamente politica. Da qui possiamo comprendere come per La Pira la pace non sia soltanto assenza di guerra tra Stati, bensì pace totale, la pace tra Dio e gli uomini, la pace tra un continente e l’altro, tra popolo e popolo, tra nazione e nazione, fra famiglia e famiglia, tra uomo e uomo».

 

 

Di eventi pubblici se ne fanno fin troppi nella civiltà dello spettacolo. Alcuni sembrano solo celebrativi e fine a se stessi. Come si deve leggere invece l’azione diplomatica dal basso di La Pira?

 

«Le manifestazioni pubbliche promosse da Giorgio La Pira muovono sempre dalla ricerca della qualità della relazione interpersonale e tendono al progressivo coinvolgimento di uomini e popoli in dialogo aperto su tutti i piani: economico, culturale, interreligioso. In questo senso, dopo i convegni internazionali per la pace e la civiltà cristiana (1952-56) che sono rivolti al dialogo dei cristiani, abbiamo i colloqui mediterranei (1958-65) per il dialogo della triplice famiglia di Abramo – cristiani, ebrei e musulmani – e il convegno dei sindaci delle capitali del mondo (1955) che rompeva il muro tra Est e Ovest. È in questo percorso che si inserisce l’invito a Firenze al poeta della negritudine e presidente del Senegal».

 

 

Era il tempo del Concilio……

 

«Già il sindaco La Pira invita a Firenze Senghor, e il 4 ottobre del 1962, festa di san Francesco, gli chiede di rivolgere ai padri conciliari riuniti a Roma per il Vaticano secondo un messaggio dell’Africa Nera, per la maturazione di ‘‘rapporti profondi, organici costruttivi, per l’edificazione della civiltà planetaria, universale tra i popoli africani, l’Europa e Firenze’’. La Pira sarà successivamente invitato a Dakar dallo stesso Senghor per parlare in occasione di un convegno dei capi di Stato africani, che mirava all’unità del continente nero».

 

 

C’ è un brano del discorso di Sénghor nel Palazzo della Signoria che le sembra attuale ?

«Certo, è un testo profetico che è sempre attuale. È in Firenze “luminosa, regina delle città pacifiche”che Senghor sente di poter esprimere “il messaggio dell’Africa, madre dei continenti, con i suoi limiti, con le sue virtù, ma anche con la sua volontà implacabile di respingere la barriera dell’assurdo, per proclamare la sua fede nell’avvenire di un mondo riconciliato, restituito alla sua pienezza”. Il poeta presidente si dice convinto che le idee di pace e di fraternità non potranno mai essere ridicolizzate quanto lo sono state in questi ultimi anni. Perché il mondo in cui viviamo non ha più quel senso della misura che ci mostrano i monumenti di Firenze. Questi sono i fatti che caratterizzano rigorosamente un’epoca in cui l’ideologia ha trionfato sull’idea e l’affrontarsi, nella sua violenza, si è sostituito al confrontarsi diminuendo così, ogni giorno di più, le possibilità del dialogo” e continuava citando Mounier per il quale era la morte del dialogo a produrre le guerre».

 

 

Quindi è proprio la Firenze tanto amata da la Pira ad offrire il termine di paragone per costruire un mondo nuovo ?

 

« Sénghor indica il modello Firenze come “emulazione per ciò che è bene, per ciò che è bello, per la fraternità, per la pace”. Riconosce che anche le armi che “tengono sospesa l’apocalisse sopra le nostre teste, attestano anch’esse la vitalità del genio dell’uomo” ma la bellezza di Firenze tende all’edificazione di un mondo più umano fondato su valori spirituali e per Senghor la vocazione del continente africano è proprio quella di dimostrare la centralità di questi valori per “dare all’uomo una maggiore umanità, di preservarlo dai tentativi di disumanizzazione”.

 

“Firenze e l’Africa"

a cura della Fondazione Giorgio La Pira.

Martedì 15 novembre 2011 dalle ore 17.00.

Sala de’ Dugento di Palazzo Vecchio

 

 

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