La “cintura di fuoco” che scuote il Messico
Non ha un nome proprio, come Harvey, Irma, José, Katia, Max e Maria, gli uragani che hanno colpito i Caraibi, gli Usa e lo stesso Messico in questo settembre di dolore. Alle 13.14 di martedì, un terremoto di magnitudo 7,1 della scala Richter ha colpito duramente il Centro del Paese, dodici giorni dopo quello che ha devastato il Sud, di 8,2 gradi, esattamente 32 anni dopo la violenta scossa che uccise nel sonno più di 12 mila persone, ne ferì oltre 40 mila e demolì 60 mila case e palazzi. I messicani lo sanno: vivono sul crocevia di tre placche tettoniche che si muovono sotto i loro piedi. E, a differenza degli uragani, i terremoti non si possono prevedere.
Martedì la terra pareva voler scrollarsi di dosso ogni cosa, e i 21 milioni di abitanti di Città del Messico e del suo hinterland si sono precipitati nelle strade in preda al panico, mentre gli edifici tremavano con violenza, sbattendo l’uno contro l’altro. Oltre alla Capitale, anche lo Stato di Messico, e i limitrofi Morelos – da cui è partito il sisma, a 120 km dalla metropoli – Puebla, Guerrero e Oaxaca hanno vissuto il terrore e la morte, in totale, di 248 persone.Ma il numero delle vittime sembra destinato ad aumentare.
Nella capitale, che ha registrato quasi la metà dei decessi, una scuola elementare è crollata addosso ai suoi alunni, uccidendone 21 mentre sfollavano, insieme a quattro adulti. Altri sono rimasti ore sotto le macerie, mentre genitori disperati imploravano aiuto per i loro piccoli che gridavano e piangevano senza sosta. Qualcuno era riuscito a comunicare col cellulare: «Sto bene, siamo intrappolati con altri quattro bambini. Aiutateci, abbiamo sete», ha scritto Fátima via WhatsApp ai suoi, varie ore dopo il crollo. «Mia figlia è viva, aiutatela, per favore, per l’amore di Dio, è viva», si disperava mamma Perla. Una mano che si muove, un cane che sguscia sotto le macerie, ed un abbraccio infinito. I pazienti dell’ospedale Durango sono stati portati in strada. Medici e infermieri li hanno accuditi a cielo aperto. Surreale.
L’arcidiocesi di Puebla ha confermato il collasso della chiesa di San Giacomo Apostolo, del secolo XVII, con la morte degli 11 partecipanti a un battesimo, tra cui il battezzando e altri tre bimbi. Migliaia gli evacuati dai palazzi danneggiati. Accolti da rifugi pubblici o da parenti ed amici nei quartieri più sicuri, hanno sperimentato una commovente solidarietà. Militari, medici e semplici passanti rimuovevano macerie con pale, secchi o quant’altro, anche a mani nude, oppure portavano acqua e cibo, formando catene umane spontanee. Erano così numerosi che le autorità hanno dovuto pregare di lasciare il campo libero a vigili del fuoco e Protezione Civile, involontariamente ostacolati da tanta generosità. L’hanno raccontato a Città nuova alcuni membri dei Focolari contattati da noi nella capitale federale e nello Stato di Puebla.
Qua e là si alzavano gli improvvisati cartelli dei soccorritori che chiedevano silenzio per poter udire eventuali segnali di vita. Sovraffollati anche i centri di ricezione di viveri e medicinali. Grazie a numerosi generatori elettrici, le operazioni sono continuate senza sosta per tutta la notte. I social network sono stati essenziali per far circolare foto di bimbi smarriti o per offrire un tetto a sconosciuti in situazioni di bisogno. Ingegneri hanno messo a disposizione tempo, macchinari e consulenza tecnica per ispezionare gli edifici. Una psicologa offre sessioni gratuite per qualsiasi persona in qualche modo colpita dalla tragedia. Persino le banche hanno sospeso le commissioni per i ritiri dai bancomat ed hanno alleggerito o condonato debiti immobiliari o comunque legati al disastro. Per tanti, questi gesti sono un balsamo che lenisce almeno un po’ l’immane sofferenza che l’intero popolo sta vivendo.
Durante i lavori della concomitante 72a Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’ambasciatore del Messico Luis Videgaray ha ringraziato Stati Uniti, Israele e Giappone, i primi Paesi a mettere a disposizione personale e macchinari altamente specializzati. I primi voli sono già atterrati. Mentre scriviamo non si sono avvertite repliche significative della scossa. Quella del 7 settembre, invece, ne ha avute ben 337. Si è trattato in quel caso del sisma più forte degli ultimi 100 anni, che ha praticamente raso al suolo decine di località del Sud del Paese ed ha ucciso 65 persone. La gente ha praticamente vissuto per le strade per giorni.
Il Messico è tra le nazioni più castigate dai terremoti. Poggia sulla cosiddetta Cintura di Fuoco del Pacifico, una striscia di 40 mila km, a forma di ferro di cavallo, che percorre i bordi dell’omonimo oceano. È una delle zone più sismicamente attive, con circa l’80% dei terremoti del pianeta. E Città del Messico è particolarmente vulnerabile. Ai tempi della conquista spagnola, l’antica e mitica Tenochtitlàn degli antichi mexica sulla quale si erge, era una particolarissima città edificata su di un lago. Per questo, la terra sottostante è ancor oggi molto umida e morbida, e ciò amplifica gli effetti tellurici, ricordando il movimento di una gelatina, propensa a un tremore intenso ed espansivo.
Il terremoto di martedì è partito da un epicentro profondo solo 51 km. Come ha spiegato la meteorologa della Cnn Allison Chinchar, «i terremoti poco profondi provocano maggiori danni rispetto a quelli più profondi, indipendentemente dalla loro forza». Ciò per via della maggiore estensione delle onde sismiche in superficie. «Ma, oltre tutto, questo è stato anche un terremoto relativamente forte», ha concluso l’esperta.
Il severissimo sisma del 1985 ricordato proprio martedì ha, comunque, lasciato una lezione ai messicani, che furono i primi al mondo a dotarsi di un sistema di allarme immediato, chiamato SasMex, che oggi conta 97 stazioni di emissione in vari punti del Paese. «Non corro, non grido, non spingo» è un mantra che tutti ripetono a memoria sin da bambini. È la regola d’oro per minimizzare le conseguenze dei terremoti nel fuggi fuggi generale. In caso di pericolo imminente registrato dagli strumenti di alta precisione, l’allarme giunge alle centrali dalle quali si ritrasmette tempestivamente a una rete di media che lo diffondono in modo capillare. Oltre alla radio e alla televisione, oggigiorno si espande anche mediante la telefonia cellulare.
È stato così anche il 7 settembre quando, verso mezzanotte, le sirene hanno suonato per le strade, sui media e sugli smartphone di milioni di messicani nel Chiapas e nell’Oaxaca, avvisando tra i 15 e 92 secondi prima del terremoto. Ciò è avvenuto anche martedì, ma ironicamente, come tutti i 19 settembre, a Città del Messico la sirena aveva suonato per via della mega-esercitazione annuale, e sette milioni di persone erano scattate fuori da case, scuole ed uffici solo due ore prima del sisma.