La Cina a Davos
I grandi del mondo s’interrogano sull’economia del mondo, tirano le somme di un anno per certi versi euforico per le borse mondiali, si fanno progetti e soprattutto si guarda al futuro. Tre giorni, dal 23 al 26 gennaio, nella piccola cittadina svizzera, in mezzo alla neve.
Difficile arrivare per un qualsiasi terrorista, diciamo la verità. Il titolo di quest’anno era molto ambizioso e tutto un programma: ‘’Creare un futuro condiviso in un mondo frammentato’’. I giornali di tutto il mondo ne hanno parlato e numerosi osservatori, tra cui anche The New York Times, sono concordi nel commentare che l’ago della bilancia dell’economia mondiale, ancora una volta, sembra puntare verso est: la Cina. Il discorso del presidente Trump – lo slogan “America prima” è stata corretta in “America prima ma non da sola”.
Poco prima dell’incontro di Davos l’amministrazione Trump ha applicato dazi doganali sulla lavatrici e sui pannelli solari importati dalla Cina, una mossa fatta poco prima di arrivare a Davos: e soprattutto una mossa contestata dai partner commerciali asiatici degli Usa che lancia anche un monito a tutti gli operatori del settore: «Gli Stati Uniti con i suoi interessi viene prima di ogni accordo». Una frase che spaventa non pochi, tutti coloro che hanno creduto nel libero mercato. Si guarda tuttavia al futuro. Ed il futuro sembra stare dalla parte delle nazioni che hanno visioni a lungo termine e che non muovono guerra a nessuno. La Cina in primo luogo. A differenza degli Usa, l’amministrazione cinese sta facendo accordi, per esempio nel campo del petrolio, con i maggiori esportatori del mondo: Russia, Iran, Venezuela, Arabia Saudita e ormai, con molti dei partner, la Cina può pagare i contratti in yuan, la moneta cinese, che è stabile e soprattutto sempre più usata nelle contrattazioni commerciali in varie parti del mondo. Il dollaro Usa sta perdendo il ruolo di prima moneta per il business mondiale. Yuan e Euro appaiono sempre più forti, anche per il tonfo del dollaro sui mercati mondiali che, se favorisce le esportazioni statunitense e crea problemi agli esportatori stranieri, Cina e Europa in testa, rende tutto più caro per gli stessi statunitensi.
I Paesi che cadono sotto lo sguardo di Pechino, ad esempio il Pakistan, esprimono il sentire di chi trae beneficio dalle strategie cinesi: il primo ministro Shahid Khaqan Abbasi ha usato parole elogianti a Davos per descrivere la rapida espansione cinese in fatto d’investimenti nel suo Paese, compresa una centrale per l’energia elettrica e il grande porto di Karachi. E si stanno predisponendo pagamenti direttamente in yuan tra i due Paesi. Altro caso, la Cambogia, dove il nuovo aeroporto internazionale della capitale sarà costruito da aziende cinesi e dove queste investono su tutto quanto sta spuntando. Con la Thailandia la Cina fa affari, con la vendita di treni cinesi ad alta velocità.
Il Brasile, poi, ed altri Paesi dell’America Latina a Davos hanno fatto la corte ai cinesi: il presidente Michel Temer ha accettato un’offerta di Pechino per lavorare in modo più ravvicinato al progetto “Belt and Road” (cioè la nuova via della seta). «La proposta cinese diventerà la prossimo W.T.O. (Organizzazione mondiale del commercio), e questo che vi piaccia oppure no», ha affermato a Davos Joe Kaeser, il Ceo della Siemens, il gigante industriale franco-tedesco. LA nuova via della seta, in effetti, si espande non solo verso l’Europa, come accadeva in passato, ma anche verso all’Africa e il continente latinoamericano. Venerdì scorso, la Cina ha fatto circolare un documento politico chiamato “The Polar Silk Road”, un progetto che unirà la Cina con l’Europa e le Americhe attraverso la via marittima del Polo Nord, che via via si sta paurosamente assottigliando. «Accordi commerciali e infrastrutture» è in fondo il progetto centrale del presidente Xi Jinping, nella sua promessa di ristabilire il “sogno cinese’’, cioè la grandezza cinese dei secoli passati.