La Chiesa ringiovanisce

L’apporto dei Movimenti ecclesiali e delle nuove Comunità e il loro inserimento nella Chiesa. La recente Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede ai Vescovi della Chiesa cattolica approfondisce la “coessenzialità” di doni gerarchici e carismatici, nella prospettiva di una Chiesa “in uscita”.
piazza San Pietro

Il grande incontro di Movimenti ecclesiali e Nuove Comunità in piazza san Pietro nella Pentecoste del 1998 era stato una promessa. Giovanni Paolo II l’aveva convocato perché riconosceva in essi una ricchezza carismatica, educativa e missionaria da portare nel cuore della Chiesa. Desiderava una loro maggiore collaborazione, in comunione con i Pastori e in collegamento con le iniziative diocesane. Mise in luce che il Concilio Vaticano II aveva rimesso in luce la dimensione carismatica del Popolo di Dio e la definì “coessenziale” con la dimensione istituzionale. Invitò quindi i Movimenti e le Comunità a lanciarsi in una tappa di maturità ecclesiale.

 

La recente Lettera “Iuvenescit Ecclesia” della Congregazione per la Dottrina della Fede ai vescovi della Chiesa cattolica sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa si pone nella scia di questa promessa. L’inizio dell’elaborazione risale al 2000, quando prefetto della Congregazione era ancora il card. Ratzinger, che nel 1998-1999 aveva offerto notevoli approfondimenti teologici sul fenomeno dei Movimenti e della loro collocazione nella Chiesa.

 

Datata nel giorno della Pentecoste e presentata alla stampa il 14 giugno scorso, la lettera si propone di offrire un approfondimento teologico ed ecclesiologico, in seconda linea si sofferma su conseguenze pratiche. L’orizzonte è quello della Chiesa “in uscita”: per comunicare efficacemente il dono del Vangelo al mondo di oggi «è più che mai necessario riconoscere e valorizzare i numerosi carismi capaci di risvegliare e alimentare la vita di fede del Popolo di Dio» (n. 1).

 

Da qui l’esigenza – ha sottolineato nella Conferenza stampa il card. Müller, prefetto della Congregazione – di favorire tra doni gerarchici e carismatici una «ordinata comunione, relazione e sinergia, in vista di un rinnovato slancio missionario e di quella “conversione pastorale” a cui in continuazione ci chiama Papa Francesco».

 

Al centro della riflessione della Lettera è il principio della “coessenzialità”enucleato da Giovanni Paolo II quando nel 1998 affermò: «Più volte ho avuto modo di sottolineare come nella Chiesa non ci sia contrasto o contrapposizione tra la dimensione istituzionale e la dimensione carismatica, di cui i Movimenti sono un'espressione significativa. Ambedue sono co-essenziali alla costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù, perché concorrono insieme a rendere presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo» (citato al n. 10).

 

Su tale principio – ha fatto notare ai giornalisti il card. Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi – il documento rileva una «convergenza del recente Magistero ecclesiale» da Papa Wojtyla a Benedetto XVI e Francesco (ibid.).

 

L’importanza e l’attualità del testo – ha spiegato il teologo Piero Coda –, sta nel fatto di «offrire un preciso apporto di chiarificazione teologica e di impulso pastorale per l’uscita missionaria della Chiesa, nella sua variegata ricchezza». A tale scopo la Lettera prende le mosse dall’affermazione del Concilio Vaticano II che lo Spirito «provvede e dirige [la Chiesa] con diversi doni gerarchici e carismatici» e così costantemente la ringiovanisce (Lumen gentium 4).

 

Si oltrepassa con ciò l’equivoco di contrapporre “Carisma” e “Istituzione”ovvero una “Chiesa dello Spirito” alla Chiesa gerarchica-istituzionale, mentre in realtà – ribadì Benedetto XVI – «nella Chiesa anche le istituzioni essenziali sono carismatiche e d’altra parte i carismi devono in un modo o nell’altro istituzionalizzarsi per avere coerenza e continuità» (cf. n. 10).

 

Tale prospettiva nella Lettera viene fondata dal punto di vista biblico (cap. 1), magisteriale (cap. 2) e teologico (cap. 3), mostrando come “doni carismatici” disseminati nel Popolo di Dio e “doni gerarchici”, che si esprimono nel ministero dei pastori, siano nella vita della Chiesa sin dalle origini intimamente legati fra loro e rinviino gli uni agli altri. Nessuna contrapposizione, pertanto, e neppure una giustapposizione (cf. nn. 10, 11, 13).

 

Partono da qui le conseguenze pastorali (cf. cap. 4 e 5). Se da un lato si tratta di accogliere e valorizzare i doni carismatici nella loro novità e peculiarità, dall’altra occorre assicurare il loro inserimento nella Chiesa sia a livello universale che locale, sotto la guida dei pastori, evitando che si concepiscano parallelamente alla vita ecclesiale (cf. nn. 20 e 23). Dalla prospettiva delle realtà carismatiche ciò significa – ha detto nella sua testimonianza la prof.ssa Aparicio Valls, membro dell’Istituzione Teresiana – «responsabilità e amore» assieme ad «altri doni come il rispetto, la complementarietà, la collaborazione, l’audacia, la libertà».

 

In questo contesto, la Lettera indica una serie di criteri per discernere l’autenticità e l’ecclesialità delle nuove realtà aggregative, fra cui: il primato della vocazione alla santità, l’impegno alla diffusione missionaria del Vangelo, la comunione fattiva con il Papa e i vescovi quale principio visibile e fondamento dell’unità della Chiesa, la stima della complementarietà con le altre realtà carismatiche e, non per ultimo, la dimensione sociale (n. 18).

 

Significativo il modo con cui si sottolinea l’apporto delle aggregazioni non solo per i fedeli laici, e in particolare per le famiglie, ma anche per i ministri ordinati, nonché per i membri degli Istituti di vita consacrata, con i quali si può realizzare un “reciproco arricchimento” (n. 22). In ogni caso la prospettiva è e rimane quella dell’“uscire”, per andare incontro all’umanità, nelle sue sofferenze e nella sua ricerca di pace, di unità.

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