La Chiesa e le donne
«La Chiesa è ancora un mondo tutto maschile. Eppure la pluralità femminile è ricchezza preziosa». Non ama le perifrasi il priore generale dei camaldolesi, e a domanda risponde.
È una tarda mattinata di fine autunno. Un raggio di sole fa finalmente capolino tra la verdissima foresta che circonda l’eremo di Camaldoli, in provincia di Arezzo, quando dom Alessandro Barban – eletto, il 5 ottobre 2011, alla guida della congregazione fondata da san Romualdo – entra nella stanza in cui stanno lavorando alcune collaboratrici di «donne chiesa mondo», l’inserto mensile dell’«Osservatore Romano».
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Ci viene naturale coinvolgere il padrone di casa nel nostro dibattito. Come spiega – gli chiediamo – questa violenza sulle donne che emerge oggi con tanta forza? «È un momento molto difficile per il corpo delle donne che rappresenta attualmente uno snodo emblematico, non solo per l’islam, ma anche per l’Occidente. Non abbiamo ancora accettato la differenza in tutti gli aspetti», risponde deciso dom Barban. «Non abbiamo accettato la reciprocità e l’uguaglianza. Vale per noi in Occidente, che ancora manchiamo nella pratica, e vale per il resto del mondo. Anche in certe enclave cristiane non si è alla pari. Se non affrontiamo con coraggio la questione della violenza, ci vorrà davvero moltissimo tempo per risolverla. Conoscendo da vicino la società indiana, sono rimasto veramente meravigliato per le tante denunce di stupri e violenze contro le donne e le bambine che sono emerse nel Paese. Sono le donne ad aver posto il problema, ad aver detto ad alta voce: adesso basta, non vogliamo più tacere. In India, infatti, è fortissimo lo scontro tra chi vuole tacitare questa tragedia e chi, invece, vuol farla emergere. Che inizino a prevalere queste ultime voci è molto incoraggiante».
L’esempio è interessante: le donne per prime dovrebbero alzarsi e avviare un dibattito nuovo. «Già, e non solo in Occidente», prosegue Barban. «Sono ad esempio convinto che nell’islam il cambiamento avverrà grazie a loro: quando le donne diranno basta, succederà qualcosa. Non credo infatti che l’islam si adatterà all’Occidente, credo piuttosto che il cambiamento avverrà da dentro. È un elemento ormai imprescindibile. La Chiesa, del resto, in molti di questi Paesi islamici è già presente con le suore che aiutano la popolazione, sicché se la Chiesa iniziasse ad avere un input diverso, ci sarebbe davvero un cambiamento».
Parlando di Chiesa, lei crede che essa abbia qualche responsabilità verso le donne? «La Chiesa – risponde dom Barban – può e deve cominciare un lavoro serio di educazione, catechesi e formazione teologica. Abbiamo avuto un approccio apologetico della figura femminile, ma la pratica dentro la Chiesa è stata ben altro. Anche oggi, monache e suore non sono allo stesso livello degli uomini, non hanno le autonomie che abbiamo noi. Eppure la Chiesa dovrebbe, potrebbe avere un ruolo formativo straordinario. Il problema, credo, è legato al tema della sessualità: non siamo ancora sereni quando parliamo di sessualità. Avremmo, noi Chiesa, un potenziale enorme per essere significativi, ma c’è ancora una fortissima mentalità clericale».
A oggi, prosegue, «le alternative previste per le donne sono ancora due: o in famiglia o in convento. Eppure ci sono tantissime donne che fanno scelte differenti, originali: dobbiamo fare una teologia che ne tenga conto. C’è un ritardo di approccio. Dobbiamo recuperare la dignità, l’umanità nella reciprocità. Il messaggio deve essere uno: tu, donna, sei importante nella comunità ecclesiale, e puoi essere ascoltata. Se la Chiesa riuscisse a mettere in luce questa dimensione, cambierebbe davvero qualche cosa».
[…] qualcosa è comunque successo. Ci si è accorti, infatti, che il modello di liberazione femminile degli anni Sessanta, di fatto tarato sul modello maschile, ha iniziato a incrinarsi: scimmiottando gli uomini, le donne non sono affatto più felici e più realizzate.
Il grande errore compiuto nel Novecento è stato quello di aver tentato di cancellare la fisionomia e la specifica anatomia delle donne dal discorso pubblico e giuridico, un atteggiamento perdente nel lungo periodo, giacché ha finito per ingabbiare in sbarre moderne, nuove e politicamente corrette, la femminilità. Proprio la scelta di dare importanza, di attribuire significato alla dimensione corporea è stato, al contrario, un passaggio indispensabile per tentare di raggiungere una vera emancipazione. Buona parte del femminismo, dunque, si è accorta di non poter accettare un discorso che presenta la specificità femminile come un handicap da cancellare. L’anatomia muliebre, infatti, è un valore, non un fardello doloroso costruito storicamente sull’ingiustizia e fondato sulla prevaricazione maschile. Tutto questo, ovviamente, non significa accettare le cose come stanno. Non significa essere ciechi dinnanzi ai problemi che le donne sono quotidianamente costrette ad affrontare. E certo non significa giustificare gli abusi, le violenze, le umiliazioni o lo sfruttamento di cui sono continuamente e ripetutamente vittime. Anche all’interno della Chiesa cattolica.
Ebbene, in questa riscoperta della femminilità di fatto, sorprendentemente, donne e Chiesa si sono trovate accanto. In tanti campi che chiamano in causa la scienza e la medicina – dall’aborto alla fecondazione eterologa, dall’utero in affitto all’ideologia del gender – si sono infatti trovati sostanziali punti di convergenza tra posizioni cattoliche e posizioni laiche. Un’alleanza non solo scomoda, ma evidentemente pericolosissima se fa paura anche solo ammetterla.
Paradossalmente, uno dei campi in cui si è verificata per prima questa nuova vicinanza è stato proprio l’aborto. Oggi, infatti, la contrarietà all’interruzione della gravidanza non è più appannaggio del cosiddetto oltranzismo cattolico, trattandosi di una posizione che accomuna anche molti laici e molte laiche, soprattutto nei Paesi cosiddetti progrediti, ben più a nord del nostro. Persone non credenti che hanno sperimentato o appreso (gli studi scientifici non mancano) quanto un aborto rappresenti comunque una violenza, una ferita profonda capace di lasciare cicatrici dolorose e pulsanti anche a distanza di anni. Così oggi il fronte di quanti rifiutano l’aborto comprende anche laici e ambientalisti, richiamandosi alcuni a un’etica dei diritti, altri alla diffidenza verso l’interventismo medico e al rispetto della natura (questa, del resto, era già l’ottica stoica!). In pochi, invece, si rifanno ormai all’argomento classico di buona parte del femminismo storico, e cioè all’affermazione di un diritto all’aborto come privilegio esclusivo della donna, essendo la procreazione questione interna al corpo femminile.
Un altro tema al centro dell’alleanza è il rifiuto della teoria del gender, secondo cui non esisterebbero differenze biologiche tra femmine e maschi, essendo la femminilità e la mascolinità costruzioni culturali indotte dalle quali bisognerebbe liberarsi per stabilire un’autentica uguaglianza tra gli esseri umani. A questa ideologia parte del femminismo ha mosso una dura critica risultando inaccettabile il fondamento sul quale essa si basa, e cioè la volontà di ridimensionare la corporeità a livello teorico e pratico. Contestare in radice l’ideologia del genere significa infatti respingere una visione che intende liberare le donne liberandole dalla femminilità, mondandole dai loro caratteri naturali che le rendono non inferiori, ma solo diverse dagli uomini.
E dunque? La storia del rapporto tra donne e Chiesa è la storia di un rapporto nato bene e finito malissimo? Che le sante siano tutte docili e noiose, lontanissime dal nostro quotidiano? Che la storia della Chiesa sia, sostanzialmente, quella dell’istituzione più misogina della storia? Che nei Paesi cattolici le donne si siano emancipate più tardi (sempre che si siano emancipate davvero)?
Che nella Chiesa non ci sia fermento? E che, quel poco che c’è, venga subito soffocato? Che la rivoluzione sessuale sia stata una ventata di aria fresca per l’Occidente, anche se oggi in tanti – specie dall’altare – fingono che nulla sia accaduto?
Lucetta Scaraffia presenta una serie di caratteristiche che la rendono l’interlocutrice ideale per affrontare i temi che abbiamo esposto. Docente universitaria di Storia contemporanea convertitasi in età adulta, ha partecipato al femminismo degli anni Sessanta ed è oggi una delle voci cattoliche più autorevoli.