La Chiesa della globalizzazione
Francesco è arrivato ad Abu Dhabi, meta insolita per un viaggio papale, sin da quando Giovanni XXIII uscì per la prima volta dal Vaticano per arrivare a Loreto e anche da quando Paolo VI, per la prima volta, arrivò in un nuovo continente, l’Asia. Nessuno prima di Francesco è mai approdato dal soglio di Pietro nella Penisola Arabica. Eppure, mentre rifletto sull’avvenimento, senza dubbio storico e con risvolti fondamentali per il dialogo interreligioso, tendo a riflettere su altri due aspetti.
Senza dubbio Bergoglio è il papa delle prime volte, come recita il titolo di uno dei libri che appartiene al panorama caleidoscopico dei testi apparsi in suo onore e sul suo pontificato. Il papa venuto ‘quasi dalla fine del mondo’ per usare le parole con cui lui stesso aveva definito la sua scelta da parte dei cardinali, appena affacciatosi al balcone della Basilica Vaticana, ha senza dubbio annoverato un numero impressionante di ‘prime volte’ in questi anni di pontificato. Non le enumero, nemmeno alcune, perché la lista sarebbe troppo lunga.
Eppure, in questi giorni ho molto riflettuto sul fatto che le prime volte di Francesco sono legate a molte prime volte di altri papi prima di lui. Per esempio, parlando degli Emirati non sarebbe stato possibile questo viaggio papale, se Giovanni Paolo II, altro protagonista di ‘prime volte’, non avesse intessuto una corrispondenza tutt’altro che casuale e marginale con lo sceicco Zayed bin Sultan Al Nahayan, emiro di Abu Dhabi dal 1955 al 2004 e presidente fondatore degli Emirati Arabi Uniti (EAU) nel 1971. Woytila prese l’iniziativa di iniziare un rapporto epistolare con il padre dell’attuale presidente, che ha ufficialmente invitato il papa a visitare oggi gli Emirati.
Quelle lettere, la prima delle quali porta la data del 27 gennaio 1985, hanno contribuito a creare un rapporto di fiducia che è progressivamente cresciuto. Il papa e lo sceicco nella loro corrispondenza parlavano di pace, di tolleranza e di dialogo. Si tratta degli stessi argomenti che Francesco tratterà insieme alle autorità politiche e religiose in questi giorni negli Emirati. L’ultima lettera, la terza di Giovanni Paolo II, fu scritta nel 1994, ma tutte e tre hanno dato adito a continuare rapporti che sono sfociati nelle relazioni diplomatiche ufficiali che Santa Sede ed Emirati hanno stabilito il 31 maggio 2007. È, dunque, importante leggere la visita di Bergoglio negli Emirati in un contesto ad ampio respiro di cui Bergoglio raccoglie i frutti e lo fa con la grande capacità di cogliere i ‘segni dei tempi di oggi’ come altri grandi pontefici hanno fatto prima di lui nei rispettivi contesti storici in cui hanno vissuto.
Un secondo aspetto che mi pare sia di grande rilievo è l’incontro del papa con la comunità cattolica che si trova negli Emirati. Anche qui è necessaria una adeguata contestualizzazione per coglierne il valore che va ben oltre questa lingua di terra nel Golfo Persico. Gli Emirati non sono un luogo tradizionalmente cristiano. Tutt’altro. Siamo a poche centinaia di chilometri dall’Arabia Saudita, cuore dei luoghi sacri dell’Islam e, sia pure nella complessa e politicizzata situazione odierna, punto di riferimento per grande parte dell’Islam Sunnita. Nonostante tutto questo, i processi caratteristici della globalizzazione nel giro di pochi decenni hanno portato circa un milione di cattolici su questo territorio piccolissimo. Nessuno di loro potrà risiedere per tutta la vita in questo Paese. I loro visti sono rinnovati solo fino a quando gli interessati possono dimostrare di avere un contratto di lavoro.
Eppure, questi processi hanno cambiato la faccia degli Emirati dove, il 70% della popolazione è straniera e di questa buona parte cattolica. Si tratta di un fenomeno nuovissimo, che ha portato a costruzioni di chiese, di scuole cattoliche e ha visto le autorità locali permettere la professione della fede cristiana, sebbene in zone precise, le chiese ed i luoghi di culto o nelle parrocchie. Eppure, martedì, papa Francesco celebrerà una messa pubblica per decine di migliaia di persone. Sarà la prima volta che questo succede negli EAU.
Anche il cristianesimo cambia, si sposta, migra come l’umanità. Anche il cristianesimo è ormai un fenomeno globale, sempre più extra-europeo e con comunità provenienti da decine di Paesi (Filippine, India, Pakistan, Egitto, Siria, Libano, Giordania ecc.) che si sono stabilite su territori che fanno parte di una regione da dove da anni esiste un flusso di cristiani in uscita verso gli Stati Uniti, l’Europa e l’Australia. Da questo angolo di mondo stanno uscendo le Chiese storiche, alcune ancora apostoliche, e stanno arrivano cristiani di Chiese molto più giovani e di altre parti del mondo. Le conseguenze saranno molteplici. Non si tratta di cristiani radicati sul territorio, ma pur sempre di cristiani che dimostrano come il cristianesimo sia fatto anche oggi, come in passato, di una storia di movimenti che si sono susseguiti nei secoli e che si stanno ripetendo sotto i nostri occhi con le loro fasi caratteristiche.
Papa Francesco ha colto questo aspetto ‘periferico’, e nemmeno troppo, della Chiesa che è stato chiamato a guidare. Ha intercettato un altro segno dei tempi che ha definito in modo diverso eppure sempre molto efficace: ‘Chiesa in uscita’, ‘il centro si comprende meglio dalla periferia’. Arriva negli EAU, dunque, per confermare questa comunità, ma la sua visita è anche un riconoscimento di una nuova forma di presenza cristiana nel mondo. Richiama tutti noi a riconoscerla e a valorizzarla in un contesto come quello della globalizzazione dove Bergoglio sta disegnando la sua geopolitica, anche religiosa.