La cenere e il volto
Testori ci manca da otto anni, da quando scomparve con la sua sensibilità acuta e intelligente, varia, mobilissima e però sempre centrata e come inchiodata sulla pascaliana miseria-grandezza dell’uomo, da lui percepita come miseriamistero, che nell’arte riluce in miseria- splendore. Per tutta una vasta parte della sua opera – quella che sfugge alle intenzioni ed espressioni più viscerali e oltranziste, come il teatro, per cui invece è andato famoso – è stato e resta un grande scrittore oggi da riscoprire: da Il dio di Roserio a Nebbia al Giambellino a In exitu, sul versante narrativo; agli interventi giornalistici spesso splendidi e magistrali in chiave morale, che davano tanto fastidio ai nihilisti “laici” (La maestà della vita, e si tratta di alta letteratura); alla critica d’arte vasta e profonda, per cui si affianca nel Novecento al solo Roberto Longhi. Come tutti gli scrittori-artisti (Testori era anche un valido pittore) e poeti solo in prosa – i suoi versi non contano -, aveva della parola e dei nessi verbali una percezione tesissima, quasi allarmata, che gli componeva un linguaggio volta a volta immediato e urtante, nell’invenzione di un para-dialetto lombardo con mescolanze e distorsioni d’ogni genere, o pensosamente letterario in aura manzoniana, o apparentemente antiquato e inattuale nell’inseguire, con gesti espressivi pur a volte narcisistici, o manieristici, la verità dell’arte. Ma il lettore-intelligente e con un’anima non spenta sapeva e saprà sempre riportare dalla pagina di Testori trasalimenti di bellezza e tuffi al cuore, e alla mente, che solo l’età adolescente nella vita naturalmente riserva, e solo un sentire interamente artistico-poetico sa riproporre in altre, più aride o distratte stagioni dell’esistenza. Pensavo tutto ciò quando, mortificato e come vergognandomi della non mia azione o omissione, consideravo, in un Remainder’s, una pila di volumi de La realtà della pittura, preziosa raccolta di scritti testoriani sull’arte pre-ottocentesca. Così va il mondo, a metà prezzo solo le cose serie. E però un po’ di riparazione sopraggiunge ora con la pubblicazione di altri scritti, sull’arte novecentesca, con il titolo La cenere e il volto. La cenere, certo, della storia umana inutilmente e brevemente, sempre, “piena di strepito e furore” (Shakespeare, da Testori molto amato), e il volto dell’uomo che, pur sempre disegnato sulla sabbia, come disse Foucault, una occultissima e presentissima provvidenza sospinge all’eterno, nelle forme anche più disperate dell’amore (“lui, l’amore”, dice Testori), e dell’arte. Detto ciò resta veramente difficile, se non propriamente inopportuno o fuorviante, citare e magari descrivere queste pagine, dense di tempo e di vita nascente e morente; come se si volesse cartesianamente analizzare un frullo d’ali o una stretta al cuore, o la pausa che detta la meraviglia al respiro: vita, di cui Testori è, anche nelle sue ossessioni e oltranze espressive, maestro affrescatore come pochi. Meglio, perciò, limitarsi a segnalare le grandi pagine su Utrillo, Fautrier, Modigliani, Sironi, Morandi, De Pisis, Bacon, Klee, Giacometti Ma tante altre ne mancano, che una raccolta più ampia potrà e dovrà contenere. E limitarsi a riportare poche parole su Klee: “Una felicità che, talvolta, nei momenti d’insperata purezza, vediamo, di colpo, come se si coagulasse subito in pietre, smeraldi, rubini o in frammenti di lapislazzuli, nell’iride dei bambini, o nei capelli di qualche ragazzina che corre e corre e della quale non vedremo mai il viso perché mai si volterà a guardarci”.